Dialogo della Natura e di un Americano
Un americano, che
aveva vagato per
pianure e montagne
e mari ed
oceani, tanto che
la memoria invano incespicava
ancora nel tentativo
di rimembrare quelle
troppe terre vissute,
passeggiando tranquillo per i
verdi prati d’una
foresta monda e
pura, vide in
lontananza un lago
immerso tra le arboree
fronde di quel
mondo silvano. Dapprincipio
fu colto da un senso
di stupore misto
a maraviglia, tanto era
magnifico scorgere un
luogo così surreale
che sfavillava in
quel bel bosco verde pastello, lungi dalla corruzione
che in quell’epoca opprimeva le terre abitate dagli uomini. Dunque il
guardo lasciò il tempo all’agile
corsa che in
pochi soffi di
vento portò l’americano
alla sospirata destinazione. Ivi
la vista poteva
scrutare innumerevoli ruscelli
scivolare dalle montagne donando le preziose acque al lago,
ed un unico fiume defluire da quel magnifico specchio d’acqua: grande come
le piazze delle capitali dell’est
europeo, splendente come gli ori delle cattedrali dell’Europa centrale.
Le luci abbacchiate
del cielo terso
si posavano attorno alle
ombre degli alberi, riflessi a
decine e centinaia
sulle chiare acque
dolci di una
fresca serata di giugno. Paradisiaca pareva l’immagine
dinanzi all’americano, il
quale sorrise e
si sedette per
contemplare ancora un poco quel
crespo spettacolo silenzioso. D’un
tratto parve che
l’acqua iniziasse a
muoversi e sbattersi
nei pressi della
riva, ad un
respiro dall’americano, che si
alzò di scatto. Vide scivolar
fuori un corpo ignudo di donna, esile e
scarna. Le dimensioni della
minuta creatura rassicurarono l’impavido
americano, che si
limitò a contemplare i seni acerbi ed il volto impaurito di quell’essere
bizzarro.
NATURA – Chi sei? Cosa ci fai qui?
AMERICANO – Sono
un comune americano
in cerca di
nuovi stimoli, nuove
terre da conoscere; vago alla ricerca di nuove
scoperte e speranze da condividere.
NATURA –
Come l’avvoltoio giunge
subitamente addosso al
cadavere morente, e senza
niuna fatica lo fa suo cibo, tu hai dinanzi a te l’emblema di ciò che
vai cercando.
AMERICANO – Come? Chi saresti, ragazza?
NATURA – Dinanzi a te
solo Natura.
AMERICANO – Oh, quale sgraziata sorte, quale sventura
provvidenziale! Vengo a te col rancore di ciò che vidi in ogni mio viaggio
disperato. Imperfetto era il creato, limitato ed infiammabile. Nulla è eterno,
tutto è corruttibile,
ci abbisogniamo della materia e
questa finisce, e
siamo costretti a cercarne
nuova, ed ancora
si deperisce, e
studiamo e ricerchiamo
nuova materia da
sfruttare, ma ogni tua
creatura sembra destinata
all’oblio. Gli uomini
sono corrotti dalla
materia, la materia
è corrotta dagli uomini,
e nulla appare
perfetto in questo
ciclo di eterno
sconforto. Ho vagato
per mille pianure e mille colline e mille montagne alla ricerca di un
mondo nuovo e migliore, poiché il vecchio
non aveva nulla
da potermi soddisfare
e compiacere fino
alla fine dei
miei giorni. Ma ai
poli vidi i
ghiacci violentati dal
sole sciogliersi e
liberarsi dall’antico giogo
del freddo e
le acque innalzarsi fino a traboccare nei cieli. Nell’occidente
temperato e civilizzato vidi il
clima mutare di anno in
anno; la sorte
delle magnifiche coste
fu un’alluvione di
vortici, vento e
piogge, estati di fuoco e fiamme ed inverni di
silenzi e respiri avvolti dall’ustionante gelo che il
nord va bramando tra le neonate
vampe. Le piogge
torrenziali che solevano abbattersi nelle
terre circondate dall’equatore si sono spostate anch’esse fino alle deboli coste temperate, mentre le
acque continuano il loro incedere,
e presto innumerevoli
città come la
bella Venezia saranno
ingerite dall’abissale ventre del
Mediterraneo. Oltre alle blasfemie del clima, gli uomini combattono e si
uccidono per il tuo oro, per il tuo gas e per il tuo petrolio, tu che non
fosti abile nel fornirci ogni ricchezza in egual misura, ci
costringesti a suddividere
il bene secondo
i nostri metodi
incivili, generando infinite incomprensioni ed infiniti torti.
Guarda i cadaveri! Ascolta le grida d’ogni uomo defunto per la tua iniquità! Il
tuo eterno spirito
non percepisce forse
anche il loro
dolore? Perché non
ti avvedi di simili
ingiustizie? Vidi inoltre fratelli uccidersi per gli dèi vecchi e quelli nuovi,
li vidi sanguinare per le ricchezze, li vidi differenti
per virtù e potere, benché fossero nati insieme. Vidi gli uomini d’ogni loco
distinguere il bene dal male, senza che qualcuno fosse davvero interessato alle
gioie ed ai dolori altrui, nato egoista dal tuo grembo. Il tuo culto è dunque
spodestato da quello di innumerevoli dèi,
garanti dell’ipocrisia di
credersi unici e
veri e reali
e tangibili, ognuno a
suo modo, ognuno colla sua gerarchia al seguito, ognuno coi suoi riti, ognuno colle
sue speranze, ognuno defunto nel sangue
dei suoi fedeli.
Eppure non muovesti
un dito al
saper ciò, quasi
non t’importasse affatto della
nostra salute e del nostro
benessere, insozzati dallo
sterco del dolore
e della noia
che si ammassano sulle nostre
deboli spalle. Dunque decisi di fuggire da quell’esistenza, alla ricerca di un
mondo migliore, sulla
terra o nel
cielo. Ma gli
studi degli astronomi
ribattevano incertezze su incertezze, quindi
pensai che l’Eden
fosse davvero in
terra e non
in cielo, e mi misi
in viaggio, riposando le mie membra
stanche di vallata
in vallata, di
collina in collina,
di montagna in montagna. Ma ad ogni mio viaggio aumentava
solo il numero di atrocità sulla mia coscienza, e vidi gli uomini
uccidersi per diletto
e le donne
vendersi non per
danaro, ma in
cerca di dignità.
Ma continuavo a sperare,
in cuor mio,
che occultata tra
le fronde d’una
natura antica andasse
a nascondersi una verità lontana e sapiente, reclusa nei più reconditi
meandri delle terre inabitate, ove neanche
gli dèi vengono
venerati, ove gli
uomini non hanno
mai colto alcun
frutto ed ove
gli animali non si
sono mai riprodotti.
Ed eccomi qui.
Ti identifichi forse
nella verità che vado
cercando da tante lune?
NATURA – Sappi dunque
che non è
in mio potere distribuire l’equità tra voi uomini, e
non è per mia colpa se non v’è
equità dove voi ne desiderate. Semplicemente non ho modo di sapere quando
vi faccio torto
o quando vi
reco offesa, posso
solo soffrire quando voi
ne fate a
me; ed eccomi debole, ancor
giovane, impotente in
questo lago di
lacrime. Sebbene io
non abbia modo
di conoscere il vostro dolore, né possa io assecondare i vostri superbi
desideri, puoi dunque tu asserire con fermezza che vuoi uomini vi avvedete
d’ogni mia doglia? È forse tra i vostri obiettivi quello di preservare la mia incolumità
e rispettare la mia esistenza?
Come potete non
avvedervi delle continue violenze ch’io subisco per
mano vostra, tali che ognuno dei
vostri dèi sarebbe ricorso ad una pia
apocalisse, se si
fosse disgraziatamente trovato nelle
mie attuali condizioni?
Come puoi rinfacciarmi con simile
egoismo la colpa per il tuo dolore, quando il mio è innumerevoli volte tanto
più atroce?
AMERICANO – Dilettiamoci dunque con un esempio, se t’è più chiaro,
prima che il mio spirito sia tuoni
e rabbia, poiché
le tue parole
mi rendono suscettibile,
nervoso ed irritato.
Le tue accuse
s’infrangono su di me come le menzogne degli uomini d’onore sulla pelle
morta dei martiri. Dunque: poniamo il caso che tu m’avessi invitato nel tuo
mondo, in questo regno magnifico e splendente, ed io, per
non farti dispiacere,
avessi deciso di
venire. Ma qui, appena
giunto, ipotizziamo che
fossi ubicato in un angolo
infestato dalle api e dalle tarantole, privo di un tetto sotto la gelida
pioggia e senza cibo, poiché non è tua
necessità veder divorate le tue stesse creature. Perché dovresti trattarmi
in codesto modo,
quando fosti tu
stessa, a convocarmi
fra le umide
braccia del tuo
mondo? Hai forse creato questo
magnifico bosco per me? Negativo. Quivi vivo soltanto come straniero, e
come quello per
ogni altro comune
animale è il
tuo trattamento nei
miei confronti, e
dunque dovrei fuggirti, ma la
morte è un gran spavento ed una grande domanda, che preferisco temerla e
rifuggire anche lei. Dunque non potresti alleviare le mie
pene, di modo che io allevii
le tue? Non è forse in tuo potere
provare, sollecitando la
tua volontà, a
render la mia
sofferenza meno grave?
E ciò riguarda non solo questo
povero americano, ma l’intera umanità, e tutti gli uomini e tutte le donne e
tutti i bambini.
NATURA –No... Ci ho provato, ho tentato, eppure questo è il
massimo, il meglio che mi sia stato concesso
dalle potenzialità di
una giovane Creatrice,
qual’io sono. Le tue
parole sono ricolme
di bramosia ed egoismo, straniero. Devi sapere che non fui io a decidere
come invitarti in questa vita, che tu ora consideri come il ricettacolo
dell’iniquità, poiché ci sono leggi superiori che trascendono anche me.
Non fui io
ad avere certezze
su come la
materia si plasmasse
attorno a te, quando,
per diletto, la mutai
in svariate forme. Fui
e sono ancora
debole, eppure questo
è il capolavoro
che il mio spirito demiurgo è riuscito a produrre, in epoche passate. In
cuor mio sono certa che non avrei potuto chiedere di più alle mie limitate
facoltà, in un continuo ideare e riprodurre, generando questo mondo. Voi
uomini siete stati una mia
bizzarra intuizione, forse una
mia distrazione, e non me ne
compiaccio affatto; gli animali e le piante ed ogni altra mia creatura debbono
patire il dolore che io ho creato in maniera identica alla vostra, o forse
duplice, per vostra colpa. E sono colpevole, e siete colpevoli, ahimè. Eppure
siete solo voi uomini a lamentarvi, a bestemmiare il mio nome, a volermi
combattere, voi che dovreste ben
comprendere il mio
epocale dilemma: dolore
e noia sono
invero patimenti necessari, poiché
senza di essi
non potreste scinderne
la felicità. Non
c’è iniquità né progresso,
ogni uomo nasce,
soffre, gioisce e
muore allo stesso
modo, in ogni
epoca ed in
ogni civiltà. Questo per
tutte le mie
creature. Dolore e
noia sono quindi
necessari, inevitabili, la
loro funzione è garantire e servire alacremente l’arrivo della felicità,
di modo che essa si distingua dallasua nemesi ed abbia una sua ragion d’essere.
Senza dolore la vita sarebbe una totale inerzia estatica nella quale il tutto
sarebbe invero nulla, e non ci sarebbe neppur cagione nel distinguere vita da
non vita; la felicità dovrebbe ascendere infinitamente per fuggire l’avvento della noia, tutto sarebbe un torpore di
eterno oblio. Dovreste
invero ringraziarmi soltanto,
poiché nel mio
ultimo sforzo vi ho
donato la ragione
per comprendere il
mondo, voi stessi
e la verità che
ti ho appena
illustrato, per comprendere le
leggi dell’universo che
limitano voi meco.
Decisi inoltre, nella
mia ingenuità ancestrale, di donarvi dell’altro. Il
mio ultimo presente è stata la
volontà, una volontà di potenza,
una volontà creatrice, infinitamente più maestosa e vigorosa di quella di tutte
le altre creature mie, nelle quali la
volontà è esercitata
dal solo istinto.
Voi uomini avete
ormai compreso su
quale evidente baratro fluttua la vostra esistenza: potete accettarla
così com’io potei donarla a voi, oppure potete
obliare i vostri
sensi fuggendo per
sempre il dolore,
ricorrendo al suicidio.
Tornerete esattamente come sareste stati se io non v’avessi quivi
invitato, e forse ve ne ringrazierei, poiché il mio errore antico va
rivelandosi come il reale cancro del creato.
AMERICANO – Come osi rivolgerti a
me in questo modo? Mi dovrei suicidare
per un tuo errore? Dovrei dire addio a tutto ciò che sono diventato, a tutto
ciò che è mio, a tutti i miei averi racchiusi negli aurei scrigni della mia città, solo per una tua incompetenza? Io sono il mondo, io
l’ho creato ed io sono libero. Non ti crederò, e nessuno verrà a sapere
di questa vicenda, poiché la verità che mi poni
dinanzi non vale
neppure un minuto
di questo mio
lungo viaggio! Il
mondo fu invero
creato per noi uomini. Ne vuoi una dimostrazione? Mentre la
Natura indietreggiava impaurita,
l’americano le fu
subito addosso. Questa
cercò di liberarsi dalla morsa
dell’uomo, ma non
riuscì; l’intero vigore
suo era andato
sprecato milioni di anni prima, nella follia di partorire la
curiosa e blasfema stirpe di colui che ora la stava violentando. Passarono pochi
attimi di sciagurata offesa, poi l’americano allentò la presa, ansimante e
stizzito, e si alzò in
piedi ed abbandonò
quel corpo singhiozzante
e ringhiò ruvide
parole indicibili,
insoddisfatto. Omne animal triste
post coitum. L’uomo
se ne andò
adagio, deluso e
stanco, lasciando alle sue spalle una giovane creatura silvana,
svergognata e pudica, ricurva su se stessa in un triste riversar di lacrime sul
quel bel lago, immerso nella foresta.
Rielaborazione personale dal “Dialogo della Natura
e di un Islandese”, di G.Leopardi
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