Dialogo della Natura e di un Americano

15 ott 2007 17:36 , , , , 0 Comments


Un  americano,  che  aveva  vagato  per  pianure  e  montagne  e  mari  ed  oceani,  tanto  che  la  memoria invano  incespicava  ancora  nel  tentativo  di  rimembrare  quelle  troppe  terre  vissute,  passeggiando tranquillo  per  i  verdi  prati  d’una  foresta  monda  e  pura,  vide  in  lontananza  un  lago  immerso  tra  le arboree  fronde  di  quel  mondo  silvano.  Dapprincipio  fu  colto  da  un  senso  di  stupore  misto  a maraviglia,  tanto  era  magnifico  scorgere  un  luogo  così  surreale  che  sfavillava  in  quel  bel  bosco verde pastello, lungi dalla corruzione che in quell’epoca opprimeva le terre abitate dagli uomini. Dunque  il  guardo  lasciò  il  tempo  all’agile  corsa  che  in  pochi  soffi  di  vento  portò  l’americano  alla sospirata  destinazione.  Ivi  la  vista  poteva  scrutare  innumerevoli  ruscelli  scivolare  dalle  montagne donando le preziose acque al lago, ed un unico fiume defluire da quel magnifico specchio d’acqua: grande  come  le piazze delle capitali  dell’est europeo, splendente come gli ori delle cattedrali dell’Europa  centrale.  Le  luci  abbacchiate  del  cielo  terso  si posavano  attorno  alle  ombre  degli  alberi, riflessi  a  decine  e  centinaia  sulle  chiare  acque  dolci  di  una  fresca  serata  di  giugno.  Paradisiaca pareva  l’immagine  dinanzi  all’americano,  il  quale  sorrise  e  si  sedette  per  contemplare ancora  un poco quel crespo spettacolo silenzioso. D’un  tratto  parve  che  l’acqua  iniziasse  a  muoversi  e  sbattersi  nei  pressi  della  riva,  ad  un  respiro dall’americano, che si  alzò di scatto. Vide  scivolar fuori un corpo ignudo di donna, esile e  scarna. Le   dimensioni   della   minuta   creatura   rassicurarono   l’impavido   americano,   che   si   limitò a contemplare i seni acerbi ed il volto impaurito di quell’essere bizzarro. 

NATURA – Chi sei? Cosa ci fai qui? 

AMERICANO –  Sono  un  comune  americano  in  cerca  di  nuovi  stimoli,  nuove  terre  da  conoscere; vago alla ricerca di nuove scoperte e speranze da condividere. 

NATURA –  Come  l’avvoltoio  giunge  subitamente  addosso  al  cadavere  morente, e  senza  niuna fatica lo fa suo cibo, tu hai dinanzi a te l’emblema di ciò che vai cercando. 

AMERICANO – Come? Chi saresti, ragazza? 

NATURA – Dinanzi a te solo Natura. 

AMERICANO – Oh, quale sgraziata sorte, quale sventura provvidenziale! Vengo a te col rancore di ciò che vidi in ogni mio viaggio disperato. Imperfetto era il creato, limitato ed infiammabile. Nulla è  eterno,  tutto  è  corruttibile,  ci  abbisogniamo  della  materia e  questa  finisce,  e  siamo  costretti  a cercarne  nuova,  ed  ancora  si  deperisce,  e  studiamo  e  ricerchiamo  nuova  materia  da  sfruttare,  ma ogni  tua  creatura  sembra  destinata  all’oblio.  Gli  uomini  sono  corrotti  dalla  materia,  la  materia  è corrotta  dagli  uomini,  e  nulla  appare  perfetto  in  questo  ciclo  di  eterno  sconforto.  Ho  vagato  per mille pianure e mille colline e mille montagne alla ricerca di un mondo nuovo e migliore, poiché il vecchio  non  aveva  nulla  da  potermi  soddisfare  e  compiacere  fino  alla  fine  dei  miei  giorni.  Ma  ai poli  vidi  i  ghiacci  violentati  dal  sole  sciogliersi  e  liberarsi  dall’antico  giogo  del  freddo  e  le  acque innalzarsi  fino a traboccare nei cieli. Nell’occidente temperato e civilizzato vidi  il clima  mutare di anno  in  anno;  la  sorte  delle  magnifiche  coste  fu  un’alluvione  di  vortici,  vento  e  piogge,  estati  di fuoco e fiamme ed  inverni di  silenzi e respiri avvolti dall’ustionante gelo che  il  nord va bramando tra  le  neonate  vampe.  Le  piogge  torrenziali  che  solevano abbattersi  nelle  terre  circondate  dall’equatore si sono spostate anch’esse  fino alle deboli coste temperate, mentre le acque continuano  il loro  incedere,  e  presto  innumerevoli  città  come  la  bella  Venezia  saranno  ingerite  dall’abissale ventre del Mediterraneo. Oltre alle blasfemie del clima, gli uomini combattono e si uccidono per il tuo oro, per il tuo gas e per il tuo petrolio, tu che non fosti abile nel fornirci ogni ricchezza in egual misura,  ci  costringesti  a  suddividere  il  bene  secondo  i  nostri  metodi  incivili,  generando  infinite incomprensioni ed infiniti torti. Guarda i cadaveri! Ascolta le grida d’ogni uomo defunto per la tua iniquità!  Il  tuo  eterno  spirito  non  percepisce  forse  anche  il  loro  dolore?  Perché  non  ti  avvedi  di simili  ingiustizie? Vidi  inoltre  fratelli uccidersi per gli dèi  vecchi e quelli  nuovi,  li  vidi  sanguinare per le ricchezze, li vidi differenti per virtù e potere, benché fossero nati insieme. Vidi gli uomini d’ogni loco distinguere il bene dal male, senza che qualcuno fosse davvero interessato alle gioie ed ai dolori altrui, nato egoista dal tuo grembo. Il tuo culto è dunque spodestato da quello di innumerevoli dèi,  garanti  dell’ipocrisia  di  credersi  unici  e  veri  e  reali  e  tangibili, ognuno  a  suo  modo,  ognuno colla sua gerarchia al  seguito, ognuno coi suoi riti, ognuno colle sue speranze, ognuno defunto nel sangue  dei  suoi  fedeli.  Eppure  non  muovesti  un  dito  al  saper  ciò,  quasi  non  t’importasse  affatto della  nostra  salute  e  del  nostro  benessere,  insozzati  dallo  sterco  del  dolore  e  della  noia  che  si ammassano sulle nostre deboli spalle. Dunque decisi di fuggire da quell’esistenza, alla ricerca di un mondo  migliore,  sulla  terra  o  nel  cielo.  Ma  gli  studi  degli  astronomi  ribattevano  incertezze  su incertezze,  quindi  pensai  che  l’Eden  fosse  davvero  in  terra  e  non  in  cielo,  e  mi  misi  in  viaggio, riposando  le  mie  membra  stanche  di  vallata  in  vallata,  di  collina  in  collina,  di  montagna  in montagna. Ma ad ogni mio viaggio aumentava solo il numero di atrocità sulla mia coscienza, e vidi gli  uomini  uccidersi  per  diletto  e  le  donne  vendersi  non  per  danaro,  ma  in  cerca  di  dignità.  Ma continuavo  a  sperare,  in  cuor  mio,  che  occultata  tra  le  fronde  d’una  natura  antica  andasse  a nascondersi una verità lontana e sapiente, reclusa nei più reconditi meandri delle terre inabitate, ove neanche  gli  dèi  vengono  venerati,  ove  gli  uomini  non  hanno  mai  colto  alcun  frutto  ed  ove  gli animali  non  si  sono  mai  riprodotti.  Ed  eccomi  qui.  Ti  identifichi  forse  nella  verità  che  vado cercando da tante lune? 

NATURA – Sappi dunque  che  non  è  in  mio potere distribuire  l’equità tra voi uomini,  e  non  è per mia colpa se non v’è equità dove voi ne desiderate. Semplicemente non ho modo di sapere quando vi  faccio  torto  o  quando  vi  reco  offesa,  posso  solo  soffrire quando  voi  ne  fate  a  me;  ed  eccomi debole,  ancor  giovane,  impotente  in  questo  lago  di  lacrime.  Sebbene  io  non  abbia  modo  di conoscere il vostro dolore, né possa io assecondare i vostri superbi desideri, puoi dunque tu asserire con fermezza che vuoi uomini vi avvedete d’ogni mia doglia? È forse tra i vostri obiettivi quello di preservare  la  mia  incolumità  e  rispettare  la  mia  esistenza?  Come  potete  non  avvedervi  delle continue  violenze ch’io  subisco per  mano vostra, tali che ognuno dei  vostri dèi  sarebbe ricorso ad una  pia  apocalisse,  se  si  fosse  disgraziatamente  trovato nelle  mie  attuali  condizioni?  Come  puoi rinfacciarmi con simile egoismo la colpa per il tuo dolore, quando il mio è innumerevoli volte tanto più atroce? 

AMERICANO – Dilettiamoci dunque con un esempio, se t’è più chiaro, prima che il mio spirito sia tuoni  e  rabbia,  poiché  le  tue  parole  mi  rendono  suscettibile,  nervoso  ed  irritato.  Le  tue  accuse  s’infrangono su di me come le menzogne degli uomini d’onore sulla pelle morta dei martiri. Dunque: poniamo il caso che tu m’avessi invitato nel tuo mondo, in questo regno magnifico e splendente, ed io,  per  non  farti  dispiacere,  avessi  deciso  di  venire. Ma  qui,  appena  giunto,  ipotizziamo  che  fossi ubicato in un angolo  infestato dalle api e dalle tarantole, privo di un tetto sotto la gelida pioggia  e senza cibo, poiché non è tua necessità veder divorate le tue stesse creature. Perché dovresti trattarmi in  codesto  modo,  quando  fosti  tu  stessa,  a  convocarmi  fra  le  umide  braccia  del  tuo  mondo?  Hai forse creato questo magnifico bosco per me? Negativo. Quivi vivo soltanto come straniero, e come   quello  per  ogni  altro  comune  animale  è  il  tuo  trattamento  nei  miei  confronti,  e  dunque  dovrei fuggirti, ma la morte è un gran spavento ed una grande domanda, che preferisco temerla e rifuggire anche  lei. Dunque  non potresti alleviare  le  mie pene, di  modo che  io allevii  le tue? Non è forse  in tuo  potere  provare,  sollecitando  la  tua  volontà,  a  render  la  mia  sofferenza  meno  grave?  E  ciò riguarda non solo questo povero americano, ma l’intera umanità, e tutti gli uomini e tutte le donne e tutti i bambini.

NATURA –No... Ci ho provato, ho tentato, eppure questo è il massimo, il meglio che mi sia stato concesso  dalle  potenzialità  di  una  giovane  Creatrice,  qual’io  sono. Le  tue  parole  sono  ricolme  di bramosia ed egoismo, straniero. Devi sapere che non fui io a decidere come invitarti in questa vita, che tu ora consideri come il ricettacolo dell’iniquità, poiché ci sono leggi superiori che trascendono anche  me.  Non  fui  io  ad  avere  certezze  su  come  la  materia  si  plasmasse  attorno  a te,  quando,  per diletto,  la  mutai  in  svariate  forme. Fui  e  sono  ancora  debole,  eppure  questo  è  il  capolavoro  che il mio spirito demiurgo è riuscito a produrre, in epoche passate. In cuor mio sono certa che non avrei potuto chiedere di più alle mie limitate facoltà, in un continuo ideare e riprodurre, generando questo mondo. Voi uomini  siete stati una  mia  bizzarra  intuizione,  forse una  mia distrazione, e  non  me  ne compiaccio affatto; gli animali e le piante ed ogni altra mia creatura debbono patire il dolore che io ho creato in maniera identica alla vostra, o forse duplice, per vostra colpa. E sono colpevole, e siete colpevoli, ahimè. Eppure siete solo voi uomini a lamentarvi, a bestemmiare il mio nome, a volermi combattere,  voi  che  dovreste  ben  comprendere  il  mio  epocale  dilemma:  dolore  e  noia  sono  invero patimenti  necessari,  poiché  senza  di  essi  non  potreste  scinderne  la  felicità.  Non  c’è  iniquità  né progresso,  ogni  uomo  nasce,  soffre,  gioisce  e  muore  allo  stesso  modo,  in  ogni  epoca  ed  in  ogni civiltà.  Questo  per  tutte  le  mie  creature.  Dolore  e  noia  sono  quindi  necessari,  inevitabili,  la  loro funzione è garantire e servire alacremente l’arrivo della felicità, di modo che essa si distingua dallasua nemesi ed abbia una sua ragion d’essere. Senza dolore la vita sarebbe una totale inerzia estatica nella quale il tutto sarebbe invero nulla, e non ci sarebbe neppur cagione nel distinguere vita da non vita;  la  felicità dovrebbe ascendere  infinitamente per fuggire  l’avvento della  noia, tutto sarebbe un torpore  di  eterno  oblio.  Dovreste  invero  ringraziarmi  soltanto,  poiché  nel  mio  ultimo  sforzo  vi  ho donato  la  ragione  per  comprendere  il  mondo,  voi  stessi  e  la  verità che  ti  ho  appena  illustrato,  per comprendere  le  leggi  dell’universo  che  limitano  voi  meco.  Decisi  inoltre,  nella  mia ingenuità ancestrale, di donarvi dell’altro.   Il  mio ultimo presente  è stata  la  volontà, una  volontà di potenza, una volontà creatrice, infinitamente più maestosa e vigorosa di quella di tutte le altre creature mie, nelle  quali  la  volontà  è  esercitata  dal  solo  istinto.  Voi  uomini  avete  ormai  compreso  su  quale evidente baratro fluttua la vostra esistenza: potete accettarla così com’io potei donarla a voi, oppure potete  obliare  i  vostri  sensi  fuggendo  per  sempre  il  dolore,  ricorrendo  al  suicidio.  Tornerete esattamente come sareste stati se io non v’avessi quivi invitato, e forse ve ne ringrazierei, poiché il mio errore antico va rivelandosi come il reale cancro del creato. 

AMERICANO – Come osi rivolgerti a me in questo modo?  Mi dovrei suicidare per un tuo errore? Dovrei dire addio a tutto ciò che sono diventato, a tutto ciò che è mio, a tutti i miei averi racchiusi negli  aurei scrigni della  mia città, solo per una tua  incompetenza? Io sono il  mondo, io  l’ho creato ed io sono libero. Non ti crederò, e nessuno verrà a sapere di questa vicenda, poiché la verità che mi poni  dinanzi  non  vale  neppure  un  minuto  di  questo  mio  lungo  viaggio!  Il  mondo  fu  invero  creato per noi uomini. Ne vuoi una dimostrazione? Mentre  la  Natura  indietreggiava  impaurita,  l’americano  le  fu  subito  addosso.  Questa  cercò  di liberarsi  dalla  morsa  dell’uomo,  ma  non  riuscì;  l’intero  vigore  suo  era  andato  sprecato  milioni  di anni prima, nella follia di partorire la curiosa e blasfema stirpe di colui che ora la stava violentando. Passarono pochi attimi di sciagurata offesa, poi l’americano allentò la presa, ansimante e stizzito, e si  alzò   in  piedi  ed  abbandonò  quel  corpo  singhiozzante  e  ringhiò  ruvide  parole   indicibili, insoddisfatto. Omne  animal  triste  post  coitum.  L’uomo  se  ne  andò  adagio,  deluso  e  stanco, lasciando alle sue spalle una giovane creatura silvana, svergognata e pudica, ricurva su se stessa in un triste riversar di lacrime sul quel bel lago, immerso nella foresta. 


Rielaborazione personale dal “Dialogo della Natura e di un Islandese”, di G.Leopardi
Anno 2007




The Heart of the Andes by Frederic Edwin Church (1826–1900)

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