Il problema del barometro


Questa mattina mi sono casualmente ritrovato a leggere questo breve racconto ricco di spunti di riflessione, dalla pagina facebook di I fucking love science (link); l'ho trovato geniale, pertanto non posso che condividerlo.
Alcuni attribuiscono questa storia a Ernest Rutherford, altri concludono che lo studente protagonista altri non era che Niels Bohr. In questi casi, attribuire la paternità di un testo senza indicazioni bibliografiche precise rischia di alimentare inutili leggende metropolitane. Per ulteriori informazioni la wikipedia in lingua inglese ha una pagina dedicata al problema (link). 
Il testo in lingua italiana che trovate sotto, invece, l'ho attinto da questa pagina (link), dal momento in cui rappresentava la traduzione più accattivante tra le numerose versioni e formulazioni del problema trovate in rete.


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Tempo fa ricevetti una chiamata da un collega. Aveva intenzione di dare zero a uno studente per una sua risposta ad un problema di fisica, mentre lo studente pretendeva il massimo dei voti per aver dato la risposta esatta.
Il professore e lo studente concordarono di rivolgersi a me come arbitro imparziale.
Io lessi la domanda assegnata all'esame: "Mostrare in che modo è possibile determinare l'altezza di un grattacielo con l'aiuto di un barometro."
Lo studente aveva risposto: "Porta il barometro in cima all'edificio, legalo ad una lunga corda, calalo fino alla strada, fai un segno, tiralo su e misura la lunghezza della corda. La lunghezza della corda è uguale all'altezza del grattacielo.
Lo studente aveva risolto il problema completamente e correttamente. Ma assegnargli il massimo dei voti avrebbe potuto certificargli competenze non effettivamente confermate dalla sua risposta.
Io suggerii di dare allo studente un'altra possibilità. Gli concessi sei minuti per per rispondere alla stessa domanda con l'avvertenza di dimostrare le sue conoscenze di fisica.
Dopo cinque minuti non aveva scritto nulla. Gli chiesi se voleva ritirarsi ma egli disse che aveva molte risposte a questo problema; stava scegliendo quella migliore. Mi scusai per averlo interrotto e gli dissi di procedere.
Nel minuto successivo scrisse la seguente risposta: "Porta il barometro in cima all'edificio e lascialo cadere al suolo. Misura il tempo di caduta con un cronometro. Quindi, usando la formula h=0.5*a*t^2 calcola l'altezza dell'edificio. A questo punto chiesi al mio collega se lo studente poteva ritirarsi. Lo concesse e gli diede il massimo voto.
Lasciando l'ufficio del mio collega chiesi allo studente quali erano le altre risposte che conosceva.
Egli disse: "Ci sono molti modi per misurare l'altezza di un grattacielo con l'aiuto di un barometro.
Ad esempio puoi misurare la lunghezza del barometro, la sua ombra e l'ombra del grattacielo in un giorno di sole e quindi, con una semplice proporzione, calcolare l'altezza dell'edificio.
"Bene," dissi "e le altre risposte?"
"Sì," rispose " c'è un metodo molto elementare: partendo dal piano terreno sali le scale e traccia dei segni sui muri utilizzando il barometro come unità di misura di lunghezza. Alla fine conta i segni e avrai l'altezza dell'edificio in unità-barometro.
"Un metodo molto diretto."
"Naturalmente. Se vuoi un metodo più sofisticato, puoi legare il barometro ad un filo ed usarlo come pendolo per misurare il valore di g (gravità) al livello della strada e in cima all'edificio.
Conoscendo la differenza di gravità è possibile calcolare l'altezza dell'edificio.
Similmente puoi andare in cima all'edificio, legare il barometro ad una lunga corda, calarlo fino al livello della strada e farlo oscillare come un pendolo. Misurando il periodo, si può calcolare la lunghezza della corda, cioè l'altezza dell'edificio.
Infine, ci sono molti altri metodi per risolvere il problema. Forse il migliore è quello di prendere il barometro e bussare alla porta del direttore. Quando apre gli dici così: "Signor direttore, questo è un bellissimo barometro. Se mi dice l'altezza dell'edificio glielo regalo."
A questo punto chiesi allo studente se veramente NON conosceva la risposta convenzionale a questa domanda. Egli ammise che la conosceva ma che non ne poteva più di una scuola e di professori che tentavano di insegnargli a pensare.

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Introduzione alle introduzioni
(La filosofia sta nel cappello)

9 ott 2012 01:18 , , , 0 Comments



Il significato più simpatico di “cappello”, oltre quello classico che nel dizionario compare dopo (1), ovvero “copricapo” o “berretto”, e spesso anche dopo (2), ovvero il cappello in senso figurato, come quello del fungo, è ovviamente quello all’ultimo posto: (3) “introduzione (ad un saggio o ad un discorso)”, “prolusione”.
Il momento per me più bello dei corsi di tutti i corsi di Laurea, purché tenuti da un docente decente, è primariamente il primo: ovviamente l'introduzione. Su questo non ho grossi dubbi. Sia che la materia sia umanistica che scientifica: nelle introduzioni i contenuti sono assolutamente concordi, i contesti non desiderano fare distinzioni, proprio perché amano essere il più possibile generali. Per il particolare, si faccia riferimento alla lezione successiva.
In ogni disciplina, il cappello serve a mostrare agli studenti il contesto storico e culturale nel quale il corso va ad inserirsi, con tanto di aneddoti, collegamenti letterari e filosofici, approcci classici al problema e soluzioni e congetture contemporanee. In matematica il docente decente che introducevo poche righe fa il cappello lo dedica, con un sano senso storico, a Leibniz e Newton; in geometria ad Euclide, anche se i primi passetti li dobbiamo a(l teorema di) Talete, lo stesso dell’acqua come principio primo, dal quale, secondo Hegel (fino ai nostri manuali del liceo), inizia la filosofia. Gli esempi si generalizzano facilmente anche per discipline più recenti, dalla fisica di Galileo alla biologia di Lamark alla chimica di Lavoisier… fino all’informatica di Turing e Von Neumann.
Per non citare discipline e corsi così classici e banali, anche gli innumerevoli insegnamenti più moderni e all’avanguardia, i quali non hanno grosse storie da raccontare o grandi personaggi alle spalle, vengono (ben) introdotti fornendo un panorama storico, politico, economico e sociale nel quale sono inseriti, ai quali seguono gli sviluppi futuri, le possibilità di crescita e quelle lavorative per lo studente che intraprende un determinato (per)corso.
Venendo alla carta stampata, penso che ci sia una magia particolare anche nell’introduzione di un libro, tra le righe iniziali nelle quali sono esposte le finalità dell’autore, anche se si tratta di un testo tecnico e poco adatto alla riflessione indipendente, pronto ad inasprirsi alla pagina successiva. Anche i testi umanistici, spesso, dicono tutto nelle poche pagine dell’introduzione, e si perdono in lunghe catene di argomenti e ragionamenti nelle seicento pagine successive per una tesi già esposta chiaramente già nelle pagine del capitolo zero. La stessa letteratura ha spesso introduzioni che valgono più delle opere stesse; il buon Manzoni apre il suo ‘Conte di Carmagnola’ con un interessante quanto innovativa (per l’epoca) discussione sulle unità di tempo e di luogo nel teatro, e l’introduzione da sola vale già l’intera opera in essa giustificata. Nel cappello del manuale scientifico, invece, c’è un po’ tutta la portata di un’intera disciplina, riassunta in poche righe, con tanto di finalità dell’autore, scelte didattiche e giustificazioni stilistiche. Penso di essere uno dei pochi a leggere più e più volte le introduzioni dei testi scientifici (spesso ritenute, all’opposto, noiose e superflue), per capire bene l’autore e le sue intenzioni nel fornire il materiale in un modo e non nell’altro – anziché buttarmi a capofitto nella densità dei tecnicismi del testo, laddove, ovviamente, risiede il vero nucleo rovente della disciplina.
C’è qualcosa di forte, un desiderio nascosto ma palpabile, nelle introduzioni, un anelito di apertura, un orizzonte comune al quale ambisce tutto il sapere, perché il sapere è uno solo, e non è solito fare troppe distinzioni. Il sapere ha una sua storia ed un suo contesto, ed una rete che lo collega in mille modi a sé stesso, a tutte le sue manifestazioni, a tutte le sue discipline, a tutti i suoi numerosi punti di vista, tutti complementari.
Inizio lentamente a convincermi che la filosofia si annidi da qualche parte tra le varie introduzioni, che se ne stia sotto il cappello, un po’ come dovrebbe stare la testa delle persone: il pensiero risiede proprio lì, da quelle parti.

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