Due concetti di salario




Se c’è una cosa che mi stupì enormemente quando mi trovai nella terra della fantasia, era come il lavoro fosse anche in quel luogo, per così dire, reale. Vedevo elfi e nani indaffarati giorno e notte per portare a termine le proprie mansioni, e mai il mio sguardo cessava di sorprendersi di fronte al realismo di quei fatti in un mondo così assurdo. Ma la cosa che più mi faceva riflettere, era come elfi e nani incarnassero perfettamente due concetti di salario oggi in netta contrapposizione anche nel mio mondo.

Gli elfi sono sostanzialmente salariati. Offrono il loro lavoro ed in cambio la comunità fornisce loro il compenso. Non è un compenso dipendente dalla quantità di lavoro svolto, sebbene ogni elfo sia alacre e responsabile in ogni sua attività: il concetto alla base del sistema è che ogni elfo ha una famiglia, pertanto viene pagato al termine del mese con un salario adeguato a sfamare quella famiglia.
I lavori degli elfi sono eterni e come la natura. Il lento ed incessante sviluppo della selva ne scandisce il tempo e quel lavoro è garantito perennemente con l'incontaminata stabilità del creato, attraverso la ciclicità del tempo e delle stagioni. Questo non significa che gli elfi lavorino sempre nella stessa foresta, all’ombra degli stessi alberi: eppure è connaturato negli elfi il senso di progettualità del proprio futuro. La sussistenza è garantita dalla società anche in caso di imprevisti, come un incendio.
Ogni elfo guadagna circa mille monete d’oro al mese durante i primi anni di lavoro, mille e duecento poi, e così via fino a duemila monete d’oro per un elfo anziano; gli elfi più bravi possono raggiungere anche cifre più elevate, ma un minimo salariale è garantito a tutti i lavoratori. In questo modo tutti gli elfi possono acquistare una casa nella foresta, un cavallo come mezzo di trasporto, possono vivere con moglie (o marito) in armonia ed accudire i propri figli in serenità e garantire presenza, impegno e continuità lavorativa presso quella grande, viva e sempiterna azienda che è il bosco.

I nani vengono pagati a servizio, nelle miniere. Se il nano estrae dalla cava l’equivalente di diecimila monete d’oro, egli ne guadagna, ad esempio, un decimo: mille. 
I nani guadagnano a provvigioni. Più producono, più guadagnano. I nani guadagnano in maniera molto strana: alcuni vengono pagati cinque monete d’oro per ogni ora di lavoro, altri dieci, altri ancora vengono pagati con una pinta di birra per dieci ore di lavoro, ai limiti dello schiavismo, il tutto in base alla mansione. Alcune mansioni, anche intellettuali, spesso non vengono affatto retribuite, se non con una pacca sulla spalla. 
Nessuno garantisce ai nani le ore di lavoro del giorno successivo: se le fanno, o se glie le fanno fare, sono ricompensati. Altrimenti niente. Il lavoro nelle miniere dei nani è infatti molto breve: un divorare vorace di tutto ciò che la natura ha prodotto in milioni di anni, e quando la miniera è stata ripulita, si passa alla prossima, come se il mondo avesse infinite ricchezze.
Generalmente i nani ricchi sono molto più ricchi degli elfi: hanno compensi spropositati, ville dorate ed enormi magioni. Ma la maggior parte dei nani è povera. Molto più dell’elfo più povero. A differenza degli elfi, i nani non hanno diritti. Non gli sono concesse giornate di malattia – o meglio, se stanno male, non ricevono compenso alcuno; se la produzione è scarsa, non riusciranno a sfamare le proprie famiglie e saranno costretti a vivere  al riparo di una caverna fredda e spoglia.

Non penso che i due modelli che ho incontrato nella terra della fantasia avessero rapporti con i sistemi politico-economici del secolo scorso, come il lettore disattento potrebbe affermare. Troppo facile parlare di comunismo e capitalismo. Che poi, provate a spiegargli di questi sistemi: vi diranno che siete pazzi. Io lo so, ci ho provato!
Gli elfi, più in generale, incarnano il modello del welfare di qualche anno fa: contratti a tempo indeterminato, una continuità lavorativa garantita ed un salario inteso come “quantità di monete d’oro per permettere all’elfo di sfamare una famiglia, comprarsi una casa ed almeno un cavallo”. 
Questo è il concetto di salario della passata generazione, nel mondo reale.
Il salario dei nani, invece, è inteso come “quantità di monete d’oro corrisposte al valore del lavoro svolto, alle ore lavorative effettuate, al profitto generato”.
Questo è invece il concetto di salario nella nostra generazione: decine e decine di contratti e forme lavorative che in nome di una presunta flessibilità e libertà di azione impediscono qualsiasi anelito di progettualità sul futuro per una famiglia. Sebbene entrambi i concetti di salario si traducano concretamente nel versamento di denaro in cambio di lavoro, l’idea che sta alla base del calcolo della retribuzione è radicalmente differente.
Nel nostro mondo, purtroppo, i due concetti vengono spesso a coesistere fino ad ingarbugliarsi, tanto che nessuno nota più l’enorme differenza tra salari elfici e salari nanici.
Eppure la mia generazione fa gli stessi identici lavori della generazione precedente, affiancando lavoratori elfici della generazione precedente, ma con salari nanici e con la stabilità della forma lavorativa nanica. Per lo stesso, identico servizio. Pertanto i giovani, per produrre la stessa ricchezza o lo stesso benessere (se non in molti casi addirittura di più, dato il maggiore entusiasmo, vigore ed un numero maggiore di anni e titoli di studio alle spalle) vengono retribuiti la metà, un quarto, o addirittura non vengono retribuiti, se non con una sonora pacca sulla spalla. 
Questo testo non vuole avere una conclusione, di quelle con speculazioni sociali, economiche o morali. Questo perché i testi senza conclusione lasciano l’amaro in bocca. Ecco. Proprio quel tipo di sensazione che sento ora e che vorrei trasmettere.

- L'Autore, Un sognatore che nella terra della fantasia sarebbe sicuramente un nano,
 con la spalla lussata a forza di pacche

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Democrazia diretta - la democrazia ingenua



Ricordo quando, qualche anno fa, mi venne affidato, un po' per gioco e un po' per caso, il ruolo di rappresentante di classe al liceo. Mi trovavo ad una sorta di assemblea dei rappresentanti, dove si discuteva di questioni (al solito) di poco conto. Dopo qualche minuto di dibattito, si era giunti alla conclusione che andava stabilita una data per un qualche evento festaiolo che ho ormai dimenticato.
A quel punto ho preso ingenuamente la parola, esponendo il mio punto di vista, che suonava più o meno così: “Non possiamo decidere la data in questo modo, qui dentro. Trattandosi di qualcosa di pubblico interesse, dobbiamo prima consultare tutti gli studenti!”
Venni subito bacchettato dal solito pseudo-comunista un po' saccente, qualche anno più grande di me: “Ora sei tu il rappresentante, se ti hanno votato devi decidere tu per tutti”. Ricordo che ci rimasi molto male. Non so se più per la sua arroganza o per l'arroganza che a suo modo di vedere dovevo attribuirmi.

Sono passati parecchi anni, sono stato rappresentante anche del mio primo corso di laurea all'università per tutto il triennio, e nel tempo ho iniziato a maturare l'idea che quel ragazzo avesse ragione. Se ti candidi per rappresentare qualcuno, vuol dire che hai delle idee. Magari anche “ideologiche” - perché questa non è l'era delle post-ideologie come dicono molti filosofi e sociologi sapientoni che quando non capiscono qualcosa del mondo contemporaneo gli applicano l'etichetta “post-” risolvendo con questo giochetto l'impasse imbarazzante. Tra l'altro di ideologie non possiamo farne a meno, anche l'anti-ideologismo è a sua volta un'ideologia, come la democrazia diretta (ma non ditelo a nessuno!).
Se ti candidi per rappresentare qualcuno, se entri in politica, le idee le devi avere tu. Anche per chi ti ha votato.

Spesso molte idee in un primo momento impopolari sono le migliori, che vanno difese se davvero riteniamo che saranno efficaci. Le idee che fanno infiammare le folle, del tipo “facciamo decidere tutto a voi”, sono spesso le più ignobili e scadenti. Se scendi in strada e chiedi la panacea per la crisi economica, in quasi tutti i casi non avrai risposte valide. Magari suggerimenti utili, ma nessuna ricetta. Per questo se sali in politica, devi essere in grado di scrivere ricette. Altrimenti il tuo posto è meglio assegnarlo a qualcun altro.
Oggi si parla spesso di democrazia diretta su Internet, in particolare sulle pagine di un vecchio blog pubblico che si chiama col nome di una persona, che linka all'acquisto dei libri di quella stessa persona, in cui ogni commento vale meno di zero: “schizzi di merda digitali” (link), li ha chiamati quello che dà il nome al blog. Questa è democrazia diretta? Spero davvero che le idee escano da quegli schizzi di merda, perché coi referendum, anche su Internet, non si risolve nulla. Prima ci vogliono le idee. Il referendum ha una valida definizione nelle parole, attualissime ed insuperabili, di Giorgio Gaber:

Il referendum è una pratica di "Democrazia diretta"... non tanto pratica, attraverso la quale tutti possono esprimere il loro parere su tutto. Solo che se mia nonna deve decidere sulla Variante di Valico Barberino-Roncobilaccio, ha effettivamente qualche difficoltà. Anche perché è di Venezia. Per fortuna deve dire solo "Sì" se vuol dire no, e "No" se vuol dire sì. In ogni caso ha il 50% di probabilità di azzeccarla. Ma il referendum ha più che altro un valore folkloristico perché dopo aver discusso a lungo sul significato politico dei risultati… tutto resta come prima e chi se ne frega.
link

Basti pensare al finanziamento pubblico ai partiti, abolito in un referendum abrogativo del 1993... tutto resta come prima e chi se ne frega. Inoltre la complessità del reale va ben oltre ad un binario si/no: entrambi comunque interpretabili a piacimento.
In altri termini, questa della democrazia diretta è una forma molto ingenua di pensare la politica. Fa piacere al popolo, alla massa virtuale, perché ha almeno l'illusione di valere qualcosa. Come nel referendum. Ma è parimenti necessario l'intervento della concretezza e della capacità di un amministratore, di un responsabile, di uno che ci metta la faccia, che abbia delle idee e sappia plasmarle come (provvedim)enti reali e tangibili!

Io credo ancora fortemente nel ruolo dei rappresentanti politici. La democrazia diretta è l'ideologia di chi non ha idee, e preferisce delegare agli altri: prima vieni eletto e delegato per fare qualcosa, poi tu deleghi il popolo ed alla fine nessuno combina niente. Chi non ha idee, preferisce la democrazia diretta, perché ogni volta che viene chiamato in causa chiama in causa il popolo.
A questo punto tanto vale eliminare i rappresentanti e lasciar fare tutto alle macchine, facendo votare il popolo ogni settimana sulle centinaia di idee malsane proposte dal popolo stesso, in un mostruoso meccanismo enormemente complesso quanto inefficace per dare a tutti la possibilità di votare sulla Variante di Valico Barberino-Roncobilaccio, anche a Venezia. Immaginatevi quale distopia Orwell-Huxeleyana: roba che vi costruiscono una TAV tra il bagno e la cucina perché così hanno votato compattamente in maggioranza in tutto il nord Italia mentre voi a votare contrario siete in quattro gatti in Molise (sempre che esista e non sia il mondo segreto dei troll!).

Per questo ripenso spesso all'obiezione che mi fu posta al liceo. Lì ho capito che non è la partecipazione popolare a contare, quanto l'efficacia e l'efficienza di chi si mette in gioco in prima persona, con le proprie idee e la volontà di costruire un pensiero più forte, complesso e strutturato, adatto alla teoria ma soprattutto alla pratica politica. Non è arroganza, è senso di responsabilità. A dispetto di quanto spesso dichiarato da molti, oggi non è la democrazia a mancare. Mancano i rappresentanti per una buona democrazia rappresentativa.
La democrazia diretta è figlia di una grossa ingenuità, la stessa ingenuità di un giovane liceale che si trovava lì quasi per caso, e preferiva, per star tranquillo, che gli altri decidessero per sé stessi... e soprattutto per lui!

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