Il lavoro dello storico presenta da
sempre molte problematiche; si vorrebbe fare della storia una scienza
esatta, ma ogni epoca, ogni evento, ogni paragrafo scritto sul
manuale di storia nasconde un esercito, una schiera di revisionisti,
di negazionisti e di megalomani che vorrebbero dar fuoco a quel
manuale, neanche fossero i pompieri di un celebre romanzo di
Bradbury. Non è facile ricostruire la storia, né distinguere in
essa il prodotto dai produttori – poiché anche la storia è un
prodotto dell'uomo.
Forse non sarà capitato a tutti di
affrontare un dibattito feroce sulle scelte politiche di Pisistrato o sulle campagne
napoleoniche, ma difficilmente non si entra in contatto con tematiche
come l'ascesa della Germania nazista, la nascita dello stato di
Israele o le cause degli attentati dell'11 settembre, per fare degli
esempi davvero random.
Come sono andate oggettivamente le
cose?
Ognuno fornisce i suoi dati, e li elabora. La differenza tra dato ed informazione
è che il dato, se non viene elaborato, è solo un numero, un segno,
privo di significato. Durante il processo di
produzione dell'informazione storica dai dati grezzi ogni storico rischia di introdurre un pizzico di sé, delle proprie idee politiche, sociali, economiche
o religiose. Questo modo umano, troppo umano di
produrre la storia, è proprio il casus belli che permette la nascita
di quell'esercito (neanche troppo) nascosto di complottisti,
revisionisti, negazionisti, anticospirazionisti, debunker – e chi
più ne ha più ne metta.
Credo che chi ha a che fare con la
storia, dai liberi pensatori agli storici tout court, debba sempre
fare distinzione tra la storia, ovvero i dati (fonti) che non ci
faranno mai risalire alla storia nella sua interezza (le fonti stanno
un po' al fenomeno kantiano come la storia sta al noumeno), e storia
della storia, ovvero la storia di come è stata prodotta la storia,
inclusi tutti gli storicismi più o meno celati da una pretesa di
(descrivere la) verità – che si manifesta nella storia.
Non c'è, in questo, da parte mia, una
stigmatizzazione etica. Non penso che sussista la storia, di serie A,
e le storie della storia, tutte bozze di serie B; credo che la
posizione più onesta sia accettarle entrambe ma essere in grado di
distinguerle, la prima come materiale, le seconde come numerose e
spesso contraddittorie elaborazioni di quel materiale.
Ad esempio, spesso le storie di come è
stata prodotta la storia sono più interessanti della storia in sé:
ho recentemente ascoltato una conferenza sulle stimmate di San
Francesco, ed ho apprezzato molto il sociologo che si è allontanato
dal mero dato storico del booleano “stimmate: vero/falso”
(storia), che tanto o ci credi o non ci credi, ma che ha posto
l'interesse della discussione sulle fonti che riguardano Francesco,
in particolare sul ruolo di Elia da Cortona, suo successore, e sulle
sue vicende nella produzione della biografia del maestro e nello
sviluppo dell'ordine dei francescani sulla figura non più storica,
ma storicizzata, del santo. Insomma, non possiamo parlare di Gesù
(ma anche di Napoleone, del comunismo sovietico o dello sbarco in
Normandia) prescindendo dalla nostra ideologia, e non possono farlo
neppure gli storici, se non citando una sequenza di
dati e date, patti ed alleanze politiche, eventi e confini degli
stati che mutano, che poi è tutto quello che malvolentieri
incontriamo nei manuali scolastici. Nell'interpretazione di fatti
tanto complessi ed incredibili c'è sempre qualcosa che sfugge, e,
giustamente, c'è chi non è d'accordo sulla versione ufficiale. C'è un pizzico di storicismo in tutte
queste analisi storiche, un senso di verità che è causa o mezzo o
fine di un processo storico o di un evento, anche se non in presenza
di un vero e proprio sistema filosofico organico – e questo non è
necessariamente un male, è anzi un fatto col quale, in quanto
uomini, dobbiamo fare i conti. Persino il debunker più scientista
difende la versione ufficiale con l'ideologia del “i cospiratori
sbagliano sempre”: non sarà una filosofia della storia, ma già è una base per svilupparla.
Non si può far storia senza uomo, ma
l'uomo produce la storia, spesso molto più di quanto non sia la
storia a darsi.
Per questo può essere interessante
sapere come Elia da Cortona ha prodotto la storia del suo maestro, o
come il Concilio di Nicea abbia prodotto una certa figura di Cristo
attraverso certi e non altri vangeli, di come i risultati del secondo
conflitto mondiale abbiano retro-prodotto la storia degli eventi di quel
conflitto o come il nostro sistema economico ha scritto e continua a
scrivere le pagine di tutto ciò che lo ha preceduto. In questo
senso, il lavoro dello storico è sempre uno spostarsi attraverso
differenti prospettive, e non giunge mai ad un punto di vista
privilegiato.
Per questo penso che vada distinta la
doppia faccia della storia: una storia in quanto mutazione di cose e
fatti del mondo e della società nel tempo, la storia oggettiva, ma
anche insieme di dati grezzi; e tante storie della storia, ovvero
tutte le produzioni e tutti i produttori di mille storie differenti
che confluiscono nello stesso disegno, pieno di incertezze,
attraversato dalla freccia del tempo.
Anche la storia contemporanea subisce
l'interferenza delle opinioni concrete di chi le vive, per questo non
si fa mai storia con l'oggi ma si può fare storia solo con fenomeni
già conclusi. Ma più ci si allontana nel tempo, più la storia è
anche storie della storia, è vittima di storicismi troppo forti, di
fonti falsificate o mitizzate e di opinioni di fondo di chi la
analizza, molto spesso contrarie all'opinione comune. Anche per
questo la storia non è una scienza esatta. Per fortuna. Diventerebbe
altrimenti noiosa come un manuale scolastico!
Sulla duplice soluzione del problema di uovo e gallina
Credo che sia ermeneuticamente impossibile, per un vero filosofo giunto ad un punto cruciale della propria maturazione intellettuale, eludere il problema classico dell'uovo e della gallina. Per un caso fortuito mi sono recentemente ritrovato ad affrontare di nuovo la questione sulle pagine di un forum a me caro, e da quest'ultimo serio sforzo dialettico ho raggiunto la consapevolezza di poter alfine postare il risultato di anni ed anni di studi e ricerche sul problema fondamentale della storia della filosofia.
La mia risposta, in un'epoca di relativismo irrisolto come l'attuale, da adito ad almeno due possibili interpretazioni antitetiche, le quali, se non si vuole essere superbi come Hegel, difficilmente giungeranno ad una sintesi unitaria che non sia un pensiero coercitivo di potenza.
Il problema classico riguarda, neanche a dirlo, le cause prime, pertanto non può essere in alcun modo rigettato in quanto problema essenzialmente metafisico, idealistico. Vogliamo dunque distinguere almeno due casi.
La prima soluzione è di tipo creazionista; fideistica, strettamente legata alla creazione divina.
La Bibbia (Genesi 1:20) in proposito è molto chiara:
Dio disse: «Le acque brulichino di esseri viventi e uccelli volino sopra la terra, davanti al firmamento del cielo».
La risposta non lascia ombra di dubbio. Prima la gallina, creata da Dio, e successivamente quella gallina deve aver deposto delle uova per tutte le galline successive. Dio ha creato la Eva-gallina già bell'e pronta, e questa ha deposto le sue uova.
La seconda soluzione è invece quella proposta da Darwin e dalla sua discendenza intellettuale; se infatti si vuol essere evoluzionisti, quindi anche di mentalità scientifica e positivista, di certo c'era un animale pre-gallina che gallina non era, che, un certo giorno, deve aver deposto delle uova un po' particolari, con delle mutazioni genetiche al suo interno. Data una definizione esatta di 'gallina' (in senso genetico), deve esserci stata una non-gallina (la nostra pre-gallina) che ha deposto l'uovo della prima gallina, della Eva-gallina. Quella gallina è ovviamente uscita dal suo uovo, quindi per l'evoluzionista è venuto prima l'uovo (di una non-gallina) che però era l'uovo della Eva-gallina.
In conclusione non abbiamo trovato una soluzione unitaria, ma due soluzioni possibili per due possibili soluzioni: per il creazionista viene prima la gallina, per l'evoluzionista prima l'uovo.
Questa congettura, lungi dal voler essere una risposta definitiva ad un problema apparentemente insolubile, vuole soltanto essere un mio piccolo contributo ad un dibattito che perdurerà vivo e vitale per tutta la storia del pensiero.
Tra il tutto e la somma delle parti
11 mar 2012
09:47
Filosofia
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Gestalt
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Parti
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11 mar 2012 09:47 Filosofia , Gestalt , Parti , Psicologia , Tutto 1 Comments
L'espressione nasce agli inizi dell'ottocento in Germania, ed è uno dei principi fondamentali della psicologia della Gestalt, che si contrapponeva allo strutturalismo di Wundt; da un lato un approccio più olistico, perché l'individuo non è solo la somma dei suoi comportamenti, dall'altro un approccio più scientifico-sperimentale. L'esempio che spesso si fa per chiarire il senso della frase è: le qualità della torta (dolcezza, morbidezza, ma anche più semplicemente il colore, la forma ed il sapore) non sono nella somma delle sue parti, nei suoi ingredienti. Provate infatti a mettere uova, zucchero, cioccolato e quant'altro in un vassoio, e di certo non avrete una torta. Forse Aristotele non sarebbe d'accordo, per il quale già negli ingredienti, se intervengono ulteriori (f)atti (come probabilmente un bravo pasticcere) c'è in potenza la torta bell'e pronta. Un altro esempio è quello della melodia: la piacevolezza del suono sincronizzato di tutti gli strumenti è ben più della somma degli ascolti degli strumenti ascoltati singolarmente.
Credo che il senso profondo di quest'espressione sia molto più semplice: la qualità è molto di più della somma delle quantità. Questa conclusione è sicuramente vera, oserei dire ovvia: riducendo qualsiasi entità a quantità al puro scopo di avere una misura esatta di una sua componente, perdo sempre qualcosa dell'oggetto in analisi. Su questo argomento, giustamente, dibattono ancora i filosofi. Se prendo due T-Rex che fanno una gara di corsa e li riconduco a puntini con accelerazione a e velocità v, ho perso parecchio (almeno due dinosauri), anche se con i dati esatti è facile calcolare chi vince, mentre senza quantità lo scienziato resta nel mondo aleatorio delle scommesse dei bookmakers dei Flintstones. Quando lo scienziato astrae quantità numerabili perde automaticamente la qualità, e ri-sommando le quantità non si ottiene di certo la figura iniziale, anche se con esse si risolvono problemi analitici, scientifici. Per questo la qualità (la bontà della torta, la pienezza della melodia) è sempre più della somma (quantitativa) dei suoi elementi.
Oserei però spingermi un po' più in là, perché la cosa, messa così, ancora non mi soddisfa. Il problema è gettare nel calderone qualità e quantità, che restano non accomunabili, figuriamoci se sommabili! Logicamente, “tutto – somma_parti = x”, dove x dovrebbe essere 0. Per la Gestalt, l'operazione avrebbe come risultato un numero maggiore di 0. Il problema invece è proprio la non-sommabilità di un “tutto” non numerabile, ancora non quantitativo.
Ho recentemente visto una bella immagine su una rivista di un ipotetico 'viso di donna più sexy del mondo'. Semplicemente un gruppo di esperti del gossip, armati di photoshop e tanta pazienza, hanno fatto un sondaggione sulle parti del viso delle celebrità ed hanno fatto un collage delle “parti” (naso, occhi, bocca, capelli etc.) vincenti. Il montaggio sarà stato pur ottimo, ma il tutto non era poi così bello: le parti troppo 'vistose' di tutte quelle belle ragazze finiscono per stridere. Questo andrebbe insegnato a chi non si accetta per com'è, in questa corsa folle tra estetisti, silicone e botulino: anche nella particolarità di un bel viso, anche nel difetto che spicca tra i pregi spesso sta la vera bellezza, quel qualcosa che ti prende e ti affascina, quella curiosità della buona forma (che è appunto il significato di gestalt), e non della somma disorganica di pezzi di qualità. Il bel viso fotoritoccato insomma non era poi così bello, rispetto a tanti visi con componenti singolarmente peggiori. Ma allora il tutto è anche meno della somma delle parti!
Il problema era già stato risolto: la questione tra tutto e parti non si risolve col segno di maggiore o minore, né con quello di addizione o sottrazione. Il tutto, inteso appunto come qualità della forma, dell'insieme, dell'ente che non viene parametrizzato e reso quantitativo, è semplicemente altro da qualsivoglia astrazione numerica o misura. Perché si misurano sempre parti, ma non è possibile discretizzare tutte le parti per ricomporre il disegno originale con una semplice operazione di somma.
In definitiva, quindi, ricuserei ogni segno di maggiore o minore. Agli amici che usano spesso questa espressione, suggerirei una leggera modifica; semplicemente: il tutto è diverso dalla somma delle parti.
Ciò che la poesia non è più
Ormai
quei poeti non sanno più
di
quel bel gioco oltre la siepe
e
le grida, gli schiamazzi
nelle
piazze e nel paese.
Non
t'imbatti in paesi, piazze
schiamazzi,
grida, giochi
– né
poeti. Mai.
C'è
chi si accontenta dell'infinito
e
chi non trova pace, né sazietà
solo
tra le ombre dei palazzi;
una
città buia, senza luce
e
piena di luci | tante
tantissime,
piccole e brillanti
dappertutto
come
mille lucciole senz'anima.
Nel
buio scenderà sul tuo corpo,
ma
non avrà quel sapore antico.
Tornerai
ad amare la poesia
solo
quando capirai –
ciò
che la poesia non è più.
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