Aspetta, te lo faccio vedere!



“Ciao, finalmente quella tipa mi ha risposto!”
“Davvero? Che ti ha scritto?”
“Leggi qua!”

“Ieri sono stato al concerto degli Sbocco di Sangue!”
“Sarà stato una figata! Com’è andata?”
“Guarda questo video che ho fatto! Ho anche le foto!”

Nell’infinita ingenuità di qualche anno fa, ero convinto che all’aumentare della disponibilità e della facilità di fruizione di Internet saremmo diventati più intelligenti. Purtroppo ero vittima di una concezione assolutamente folle e fortemente scolastica e nozionistica del sapere, secondo la quale maggiore è la quantità di dati che uno immagazzina, maggiore è la sua intelligenza. Del resto un compito in classe ‘smartphone alla mano’ garantisce voti più alti che senza, quindi lo smartphone ci rende più intelligenti. Fila, no? 
Purtroppo mi ritrovo oggi ad affrontare con estrema disillusione le medesime tematiche, in un mondo di zombie – me incluso – perennemente appiccicati al monitor dello smartphone. Molto drogati ed assuefatti di tecnologia, tutt’altro che più intelligenti. Ho scaricato anche una sfigatissima app, giusto per curiosità scientifica, al fine di sapere quante volte al giorno faccio l’unlock del cellulare e per quante ore lo schermo sta attivo. Devo dire che sono una buona cavia, i risultati sono davvero curiosi (per chi fosse interessato, si chiama Break Free, per iOS e Android).

Uno dei fenomeni più frequenti e di cui siamo tutti vittime spesso inconsapevoli, è una progressiva incapacità di descrivere oralmente qualsiasi cosa. L’estrema facilità di acquisizione, creazione e condivisione di materiale multimediale, infatti, rende completamente pleonastica la descrizione verbale di un’esperienza. Molto meglio mostrare foto e video. La stessa descrizione fisica di oggetti, persone e luoghi è spesso delegata a Google, Youtube, Facebook ed al materiale acquisito col nostro device: se hai un potente quad-core con connessione ad Internet in tasca non stai certo a dilungarti a parole quando in pochi secondi hai il materiale pronto ed in un linguaggio più immediato della parola. Soprattutto quando siamo offline, fuori casa, in compagnia di altre persone: non manchiamo di estrarre l'arma per mostrare la foto dell'auto nuova o del luogo visitato ieri, il video del gol più bello della giornata di Serie A o quello del concerto al quale siamo stati - come nell'esempio. 
Lo stesso vale per i testi. Non leggiamo più un contenuto due volte per capirne bene il significato e per comunicarlo nuovamente: non usiamo affatto la memoria, la capacità di comprensione e l’attenzione. La mail inviata dal capo, la frase dello stato di Facebook o il messaggino della tipa da far leggere all’amico, non li riformuli a parole tue: attingi direttamente al testo originale, in tempo reale, col telefonino. Così si è più esatti e si evitano errori di interpretazione.
Fateci caso. La tendenza è questa. Ho l’impressione che andremo lentamente a perdere, assieme ad un grosso pezzo delle nostre capacità descrittive, un gran numero di aggettivi ormai desueti (caro ‘desueto’, tu sei il prossimo!). Il che non è di certo una perdita grave dal punto di vista del dato, poiché anche la descrizione orale più complessa di un luogo o un oggetto sarà comunque quasi sempre meno esatta di una lunga stringa binaria che compone un’immagine o un video in alta risoluzione o un file audio. L’unico spazio per la parola, così grezza e indefinita, è relegato alla soggettività ed alle emozioni, a loro volta molto meno oggettivabili e di certo non banalmente riducibili in forma multimediale.

Si potrebbe cercare di sforzarsi un po’ di più a descrivere ‘a parole proprie’, ove possibile, senza “estrarre lo strumento”, anche se il rischio di risultare noiosi se non si esprime un concetto in pochi secondi è tremendamente reale quanto tangibile e opprimente. Non è facile da accettare, ma per certi versi ormai lo smartphone è più utile e capace di noi e delle nostre facoltà conoscitive e descrittive. 
Ricordo quando, in un colloquio per una borsa lavoro durante il quale ero esaminatore in commissione, feci ad un ragazzo una semplice domanda teorica sul funzionamento del computer. Mi rispose senza troppo dispiacersi di non conoscere la risposta: “Non lo so, ma io nella pratica di solito cerco su Google”. 
Nell’assoluto imbarazzo di un’affermazione tanto grossolana, mi ha fatto molto riflettere. Per quanti anni ancora una risposta del genere sarà considerata fuori luogo? 

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