Sul superamento dialettico del chitarrista da spiaggia

Nel linguaggio comune viene spesso utilizzata l'espressione “chitarrista da spiaggia” in senso spregiativo, per intendere un chitarrista approssimativo sotto il profilo tecnico. Il chitarrista da spiaggia conosce solo i rudimenti della chitarra, appresi come autodidatta o frequentando un numero più che esiguo di lezioni, al solo scopo di conoscere le basi dello strumento per poter accompagnare la voce nelle canzoni: i primi accordi maggiori, minori e di settima, i vari giri armonici e poco d'altro. Il repertorio da spiaggia, infatti, alterna tra Ligabue e Vasco Rossi, passando per qualche canzoncina, sempre e rigorosamente di cantautori italiani, nel migliore dei casi di Battisti o De André. In casi sporadici il chitarrista può cimentarsi in qualche hit anche recente, ma difficilmente smentisce il cliché che lo vuole capace di cantare nella sola lingua italiana.
L'antitesi del chitarrista da spiaggia può essere definito come “chitarrista formale”: esperto conoscitore delle scale musicali e della teoria degli accordi, alacre e laborioso studente  – nonché amante – del suo strumento, fan accanito dei grandi guitar heroes, da Hendrix a Vai, da Satriani a Malmsteen, da Richie Kotzen a John Petrucci. Per il chitarrista formale la chitarra è più uno stile di vita che un semplice strumento musicale.
Situazione tipica: Ferragosto, al mare, scende la notte. Davanti al falò. Al chitarrista da spiaggia (che gioca in casa) bastano un re maggiore, un do maggiore ed un sol maggiore per portarsi dietro le belle voci di qualche ragazza un po' allegra con “Sweet Home Alabama” (o “All Summer Long”, per chi fosse nato qualche settimana fa). Il chitarrista da spiaggia suona sgraziatamente tre accordi e mugola la melodia della canzoncina (lo ricordiamo: l'inglese non lo sa, oppure è tutt'altro che intonato) ed ha già raggiunto il massimo dei risultati. Con il minimo sforzo.
L'abilità del chitarrista formale, al contrario, si può manifestare in diversi modi. Se la chitarra è una, il chitarrista formale ignorerà l'esistenza di accordi e di un testo da cantare, e si perderà tra i saliscendi delle sue scale, totalmente ignorato dal pubblico. Se le chitarre sono due, il chitarrista formale improvviserà con un accompagnamento a suo supporto; susciterà l'ammirazione di qualcuno più o meno fino al quinto minuto di assolo ininterrotto, poi piomberà nella solitudine come nel caso precedente – insieme al suo collega di accompagnamento, il quale, nel caso in cui si tratti di un chitarrista da spiaggia, probabilmente intonerà una canzone di Vasco ridestando l'attenzione del pubblico e lasciando il chitarrista formale nel pieno sconforto.
La lezione che il chitarrista formale deve apprendere, per emanciparsi da questo stato di subordinazione, è molto semplice: è necessario mettere da parte la superbia ed imparare ad improvvisarsi chitarrista da spiaggia. Anziché fare il disadattato nell'aspro confronto contro la mediocrità, è forse meglio rifuggire la battaglia, persa in partenza, in favore di un approccio più socievole. Perché il chitarrista formale sa sicuramente suonare tre accordi maggiori (e pure meglio del suo alter-ego) ma non li suona perché preferisce non abbassarsi al livello di quel pivello che ancora suona la “Canzone del Sole”; tuttavia, quest'atto di superbia culturale implica un necessario conflitto dialettico dal quale non c'è alcuna via di scampo alternativa all'infelicità della solitudine. Meglio conviverci, col chitarrista da spiaggia, il quale, nella sua carenza tecnica, ha raggiunto una comprensione della situazione ed un know how sufficiente per intrattenere i presenti; una consapevolezza fondamentale del tutto ignorata dalla coscienza chitarrista formale.
A questo punto, se di tre accordi si tratta, che tre accordi siano! Il chitarrista formale supera lo stato di alienazione dalla società e si reintegra in essa, giungendo ad una sintesi superiore: il chitarrista completo.
Chitarristi (formali e da spiaggia) di tutto il mondo, unitevi! Soprattutto a Ferragosto.
Un discorso analogo può essere fatto per la condizione dell'intellettuale. Spesso la superbia ci spinge ad esprimere giudizi affrettati e semplicistici sulla condotta altrui, sulla “bassa lega” di certi comportamenti o sulla mediocrità di certi discorsi. Questa superbia è giustificata finché non subentra un ostacolo: quando l'intellettuale soffre la solitudine, allora diventa un po' come il chitarrista formale che suona i suoi arpeggi nel cantuccio tra gli scogli non illuminato dal falò. Non fa neppure tenerezza, quella sagoma buia: tutti conoscono il suo disprezzo per le canzonette e per la società dei mediocri. A questo punto, se l'intellettuale ha davvero raggiunto una consapevolezza maggiore, dovrebbe riuscire ad accantonare le convinzioni superflue e superare lo stato di solitudine, abbandonandosi talvolta a comportamenti semplicistici, a discorsi mediocri. Da questa prospettiva potrebbe pure incentivare gli altri a migliorarsi, provando magari a far comprendere loro qualcosa in più, ma senza adirarsi quando non riesce nell'impresa, talvolta davvero ardua. Perché l'importante è passare bei momenti, soprattutto a Ferragosto. 
Molto spesso è capitato anche a me di cadere nell'errore, sia con la chitarra, sia con le persone; pur non avendo mai vissuto pesanti momenti di solitudine, ho l'impressione che questa socievole forma di emancipazione dai pregiudizi culturali – e musicali – sia un passaggio necessario per giungere dialetticamente ad una sintesi: un intellettuale completo, un chitarrista completo.

Parafrasando Nietzsche: il chitarrista formale è un ponte tra il chitarrista da spiaggia ed il chitarrista completo.

Tratto dal mio vecchio blog.


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