Il valore del silenzio

10 mar 2015 17:07 , , , 1 Comments

Concedetevi un minuto. Un solo minuto per ascoltare la traccia audio qui sotto. Magari con gli occhi chiusi. Poi continuate la lettura, solo dopo l'ascolto. Tanto poi ho scritto poco. Sono tra le più belle parole che la lingua italiana abbia mai espresso, con una delle sue voci migliori: Vittorio Gassman.




Avete provato un qualche disturbo durante l’ascolto? Se no, è solo perchè la voce è quella di uno che sapeva emozionare pure leggendo il menu.
La sensazione è che qualcosa manchi. Che cosa? Il silenzio.

La traccia audio qui sopra è infatti un mio montaggio audio becero ed assolutamente fai-da-te (peraltro la musica l’ho rubata a Skyrim, ma non ditelo a nessuno) di un video preso da youtube, e qui sotto potete ascoltare l’originale. Provate a compararli.




In effetti in realtà il grande Vittorio, tra una strofa e l’altra, respira. Attende. Esita. Cosa che nel mio montaggio non avviene.
Questa tecnica di tagliare i respiri e le pause, magari mettendoci sotto una musica per uniformare, è una strategia ormai abusata in ambito televisivo, e non solo. Nel mio lavoro la uso spessissimo: un’audioguida non può contenere pause, altrimenti il percorso si allunga in durata ed il visitatore del museo si annoia. Anche nel cinema il respiro viene usato solo per creare suspense (nei momenti di tensione estrema, o nelle telenovele con quei respiri spassionati quanto fasulli); tutto il resto è dialogo, rumore, azione, dinamismo e movimento. Il silenzio, quello di una persona che attende prima di proferir parola, sovente non è consentito, in quanto non veicola informazioni, ma solo sensazioni. Il silenzio è uno spreco, in epoca di spending review. Il silenzio è cultura, ma non può essere dato, perché non comunica altri dati oltre sé stesso e la sua stessa durata: una serie più o meno lunga di zeri. 
In televisione ricordo nitidamente quando Le Iene iniziarono ad abusare di questo processo di taglio continuo estremamente fastidioso diversi anni fa, cosa che oggi ormai fa qualsiasi telegiornale, alla quale siamo talmente abituati che non ci sorprende sentire una voce che non prende pause. Il tutto in nome dell’efficienza e della massima informazione nel minimo tempo. 
Del resto ormai anche noi esseri umani non sappiamo più respirare. Agli esami dobbiamo vomitare le cose addosso ai professori: dire più cose possibili nel minor tempo. Fateci caso: non respiriamo mai. Anche ai colloqui di lavoro. Il curriculum: tutto. In trecento secondi. Meglio se meno. Ma anche sul lavoro. Essere veloci. Parlare. Fornire informazioni. Senza pause. Senza respiri. Per questo siamo tutti un po’ esauriti, perché il sospiro di sollievo lo tiriamo solo alla fine, mai durante. Non ci concediamo mai un attimo di silenzio.

C’è qualcosa di inquietante, forse anzi addirittura terrificante, nel fatto che tra le due versioni io percepisca, all’udito, quasi come migliore la prima. Perché è più veloce e dinamica. Perché quelle pause lunghe ed inconsistenti, quei respiri quasi mi infastidiscono. Perché ho da fare, sono di fretta e non posso perder tempo ad ascoltare tutto quel silenzio. Silenzio, che Giacomo Leopardi nella sua poesia ripete per ben due volte, e l’unica volta che utilizza l’aggettivo “infinito” lo accosta proprio a “silenzio”. Lui il silenzio aveva imparato a conoscerlo ed amarlo, ed il grande Vittorio Gassman sapeva interpretarlo. Eroi d’altri tempi.

A me invece, pavido e spaurito, il silenzio inquieta, così come inquieta questa società rumorosa, come inquieta tutti noi, anche se talvolta non ce ne accorgiamo. Ne abbiamo paura. Ne ho paura. Perché ho paura d’aver perso il valore del silenzio.



XII - L'INFINITO

Sempre caro mi fu quest'ermo colle,
E questa siepe, che da tanta parte
Dell'ultimo orizzonte il guardo esclude.
Ma sedendo e mirando, interminati
Spazi di là da quella, e sovrumani
Silenzi, e profondissima quiete
Io nel pensier mi fingo; ove per poco
Il cor non si spaura. E come il vento
Odo stormir tra queste piante, io quello
Infinito silenzio a questa voce
Vo comparando: e mi sovvien l'eterno,
E le morte stagioni, e la presente
E viva, e il suon di lei. Così tra questa
Immensità s'annega il pensier mio:

E il naufragar m'è dolce in questo mare. 

Luca Montini

Il blog del buon Monti: filosofo (br)ontologico, (mal)informatico, happy (true)metallaro, tuttofare museale e teatrale, videogiocatore impenitente, apprendista stregone.

1 commento:

  1. “Non si può non comunicare”! Questo è il ‘primo assioma’ nella pragmatica della comunicazione studiata da Paul Watzlawick. In quest’ottica ovvio che anche il silenzio è comunicazione. Ma come mette splendidamente – e pragmaticamente – in luce l’articolo, forse non si tratta di una comunicazione ritenuta abbastanza informativa, di un canale informativo rapido ed efficace come richiesto al giorno d’oggi. Allora in questo senso diventa persino un gap comunicativo che va esorcizzato e che ci mette paura. Sì, oggi m’aggrego anch’io al club “ho paura del silenzio”! Diagnosi calzante e condivisibile quella del post.

    Eppure il silenzio, come il respiro – che bello ed originale metterli insieme –, anche secondo me è non solo utile ma essenziale per la comunicazione efficace. Ricordo un passo dal Tao Te Ching: “Trenta raggi si uniscono in un solo mozzo e nel suo non-essere si ha l'utilità del carro, s'impasta l'argilla per fare un vaso e nel suo non-essere si ha l'utilità del vaso, s'aprono porte e finestre per fare una casa e nel suo non-essere si ha l'utilità della casa. Perciò l'essere costituisce l'oggetto e il non-essere costituisce l'utilità”. Checché se ne pensi il non-essere, il vuoto, il silenzio è perlomeno UTILE. Ma non solo utile, persino essenziale. Ricordo un grande musicista contemporaneo – tale Mick Goodrick – sostenesse che “una nota è un modo elegante per passare da un silenzio all’altro”: le pause, il non-essere musicale, il silenzio è ESSENZIALE. E non è utile ed essenziale solo per le filosofie cinesi o per la musica, ma per la comunicazione stessa: la parola nasce dal silenzio e confluisce nel silenzio. Il silenzio non è un interstizio estemporaneo, ma una parte fondamentale per comunicare autenticamente qualcosa. Però bisogna avere orecchie per ascoltare… o forse un buon paio d’“occhi” (come suggerirebbe Nietzsche nello Zarathustra: “forse bisogna rompergli i timpani perché imparino a udire con gli occhi?”). D’altronde, di fronte alle innumerevoli domande della vita, come in un test con un docente magnanimo che vuole comunicarci la risposta giusta tra varie possibilità che vengono lette, la risposta giusta non si evince ascoltando semplicemente il tono di voce (che si alza non appena viene letta la risposta giusta) ma guardando quel silenzio (che inevitabilmente segue la lettura della risposta), scrutandolo e riconoscendolo… vedendo così il suo valore comunicativo utile ed essenziale!

    Grazie di cuore, buon Mo’, per il post e la bella occasione di riflessione ^_^

    RispondiElimina