Il pignoramento del Re del Mondo


"Panini, Modern Rome" by Giovanni Paolo Pannini - From [1]originally uploaded in en:wiki. Licensed under Public Domain via Wikimedia Commons.

Il processo era terminato. Il Re del Mondo, giudicato colpevole. Doveva versare ai suoi sudditi una somma che ammontava ad una quantità quantomeno bizzarra. Due simboli di difficile interpretazione, messi così assieme, almeno per l’epoca, che potremmo raffigurare così:

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Immantinente i creditori (ossia l’umanità intera) bloccarono i suoi conti, confiscando tutto il suo denaro e le sue riserve aurifere. Tutto l’oro del mondo, per intenderci. Entrarono poi nelle sue gallerie d’arte, e presero tutte le opere che trovarono, scoprendo qualcosa di incredibile: il valore stimato a spanne delle opere superava di gran lunga quello del denaro. Ecco perché almeno un secolo prima lo si soleva chiamare patrimonio artistico, e si facevano investimenti per la sua conservazione, per quanto i ricavi non superassero i costi. 
Così continuarono senza sosta a pignorare i terreni del Re del Mondo: le sue spiagge, i suoi monumenti ed i suoi palazzi, i suoi centri commerciali e le sue piscine, i suoi campi da tennis e le sue ferrovie, i suoi giacimenti di petrolio e le sue mandrie, le sue gioiellerie e le sue scuole, i suoi ospedali ed i suoi porti. Ma ciò non bastava. I pignoranti continuavano a far calcoli e calcoli, confrontando le stime con quei due simboli arcani pubblicati sul mandato di pignoramento.
Fu allora che andarono a trovare il Re del Mondo, nella sua casa, ormai agli arresti, solo. Presero tutto ciò che trovarono all’interno dell’abitazione. Non bastava. Gli chiesero la speranza, che di quei tempi sembrava valere tantissimo. Non ne aveva. Gli chiesero allora la casa. Egli si rifiutò, poiché la casa è sacra. Allora gli pignorarono la fede, e poi la casa. Non vi furono obiezioni.

Il pignoramento era un complotto, in verità. Una folle idea degli scienziati dell’anno 2200 d.C. Il processo stesso era una farsa. Il Re del Mondo era stato democraticamente eletto, in una cessione dei poteri atta al superamento della paura che ricorda da vicino la filosofia di Thomas Hobbes, tornata particolarmente in voga dopo oltre un secolo di terrorismo internazionale.

I pignoranti erano in realtà gli scienziati di quell’epoca. Avevano condotto uno strano colpo di stato corrompendo la magistratura, unico potere capace di rovesciare la corona, cosa che Hobbes non avrebbe certamente approvato (ma era morto da più di 500 anni). Costoro intendevano, per dirla in breve, dimostrare che Leibniz e Newton si sbagliavano, e che era possibile contare fino a infinito senza scomodare il concetto di limite. Avevano infatti introdotto una nuova unità di misura: l’inestimiliardo (10unnumeroimpronunciabile) di yuan, reificazione numerica di beni dal valore inestimabile come il Colosseo, le Piramidi, il Taj Mahal, l’opera omnia di Shakespeare e la discografia completa dei Queen (allora quasi introvabile).
Il Re del Mondo non aveva più beni materiali da pignorare, ma l’obiettivo non era ancora stato raggiunto. Non restò che pignorarne i valori, la dignità (ma ne restava davvero poca)… ed infine la vita.

Eppure, anche volendo quantificare l’infinita ricchezza generata da quell’atto scellerato e dal valore inestimabile solo in inestimiliardi, il risultato atteso non fu raggiunto. Gli scienziati ipotizzarono di aver sbagliato i propri calcoli, valutando numerose ipotesi. Si arresero infine all’idea di dover cercare un fantomatico Re dell’Universo, sempre che esistesse, ma negli ultimi cento anni la ricerca spaziale non aveva fatto alcun passo avanti. Tutto lo scibile scientifico era diventato economia.
Pertanto gli scienziati, gli economisti di quel mondo, non si ravvidero nemmeno del proprio, banale errore: pensavano che l’unica cosa che potesse essere contata, l’unica astrazione possibile, l’unica reificazione capovolta, fosse il denaro.
Furono loro, quegli scienziati, a prendere il posto del Re del Mondo. L’umanità si estinse qualche giorno dopo – ma la borsa di Pechino no.

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Perché quel Mac non funziona?!

18 feb 2015 20:43 , 0 Comments


Tanto per tornare in questo spazio di brontolmenti esistenziali e ba(rba)ggianate, è il momento di lamentarsi un po’ di un tema nerdosissimo che in questi giorni mi fa venir voglia di fulmini e saette: i continui malfunzionamenti dei computer di casa Apple. O quasi. Anzi, no.
Il punto è questo: sul lavoro molto spesso mi ritrovo a dover affrontare problemi tecnici e perdite di tempo legati alle macchine con la mela morsicata, molto più spesso di quando ho a che fare con vecchi PC ingestibili (Windows o Linux) – il che costituisce un bizzarro paradosso, considerata la celeberrima affidabilità dei prodotti made in Cupertino.

Il problema della mela morsicata è uno ed un solo: i suoi utenti.



Non voglio fare generalizzazioni affrettate, ma per quanto riguarda la mia (modesta ed opinabile) esperienza, l’utente che gira col suo MacBook o con l’iPhone crede di avere tra le mani un’astronave. Un oggetto di culto. Marxianamente, un feticcio. Eppure l’oppio dei popoli dell’informatica di massa ha creato gente talmente fissata da affermare: “si ma da quando c’ho l’iPhone è un’altra cosa” (andare su Facebook, beninteso). Gente che andrebbe in pellegrinaggio a Cupertino sperando che per miracolo dopo la benedizione di Tim Cook il proprio iPhone 4 si trasformi in iPhone 6; integralisti capaci di imbracciare l’iPad contro gli infedeli di Google con aperta l’APP Ak-47 gridando “Steve Jobs akbar” mentre fa fuoco sul display retina.

Per chi non mi conoscesse: piacere, sono Luca, il tecnico. Sul palco c’è un bravissimo polistrumentista che sta tenendo una lezione ad un pubblico di duecento studenti. Suona il pianoforte ed il MacBook. Bravissimo. Cita pure Nietzsche, dallo Zarathustra del filosofo a quello di “2001 Odissea nello Spazio”. Poi d’un tratto gli si inceppa il CD, evidentemente rigato, rendendo impossibile la riproduzione del pezzo. Passano minuti imbarazzanti. Che ci voleva ad importare il contenuto CD sul disco rigido del MacBook? Nulla. Ma la fiducia cieca nel mezzo divino non può essere messa in discussione.
Qualche giorno dopo, stesso palco, in clamoroso ritardo arriva una tizia super-gasata con l’ego over 9000 e pretende di mettere la musica durante uno spettacolo comico senza neppure provare. Tanto c’ha il MacBook pure lei. Io la avverto. “Li fanno apposta per queste situazioni, sono affidabilissimi”, mi risponde tutta affaccendata, come se tutta la complessità del problema si riducesse all’affidabilità del computer. Vi lascio immaginare la débâcle: volumi completamente sproporzionati all’impianto, venti secondi di panico. Per inciso, la colpa di nuovo non è della macchina ma della demenza di chi la usa.
C’è anche chi parla la lingua superiore della Apple e se ne strafotte del linguaggio dei plebei. Parlo della supponenza trascendentale dei grafici (una razza a parte, si riconoscono perché sulla scrivania del loro iMac ci sono millemila icone tutte sparse che non ci si raccapezzano neppure loro), che dopo innumerevoli elucubrazioni spocchiosissime sul formato più corretto per spedirti un file te lo rigirano in Illustrator (.ai o .pdf) senza minimamente pensare ad allegare pure i font (e io come ci lavoro?), oppure per risolvere te lo girano coi testi in vettoriale (e io come ci lavoro?) e dopo aver terminato non ti lasciano neppure i loro documenti di lavoro perché “non funziona il tuo hard disk” (incompatibilità con NTFS… mai sentito parlare? Formattarlo in exFat?). Snort…

Poi ti arriva lo sfigato dipendente comunale con un vecchio PC portatile a manovella, con quel Pentium 4 antidiluviano e Windows XP che ti dice, timido timido: “è mio ma non so come si accende… ci pensi tu?” – e lì tiro un sospiro di sollievo. Sono felice. Sono felice perché dal basso della mia inettitudine trovo una persona che almeno ha l’onestà intellettuale di riconoscere i propri limiti, di capire che una macchina è una macchina è che un ignorante è un ignorante, e resta tale anche se ha acquistato un Mac. Ma non può ammetterlo, perché ci ha speso molti soldi.

Appleisti di tutto il mondo, sgonfiatevi!

Nel frattempo guardatevi fino allo sfinimento questo video di Sio. Perché ce l’avete grosso. L’ego.


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