La quasi saggezza dei quiz

28 mag 2011 19:21 , , , 0 Comments

Uno tra i più classici accorgimenti strategici per chi deve affrontare il quiz della patente, può essere riassunto con la massima: “quando nel quesito compaiono termini come sempre e mai, la risposta è quasi sempre falsa”.
Questo fatto fa riflettere; penso che la massima sia generalmente valida anche nella vita di tutti i giorni. Conosciamo infatti tutti l'esistenza di eccezioni, le quali si presentano molto più spesso di quello che tendiamo ad immaginare, spesso quando meno ce l'aspettiamo. I più grandi retori, filosofi, critici e chiacchieroni si divertono un mondo a trovare l'eccezione che già basta a falsificare logicamente una proposizione che contiene, appunto, termini come sempre, mai, tutti, nessun, in ogni caso, in nessun caso etc.
Per falsificare una proposizione generale di quel tipo basta un solo controesempio – che molto spesso non è neanche troppo difficile da trovare. Gli esempi (e i controesempi) si sprecano.
Nelle sfere più astratte della matematica e della logica, pur con le dovute eccezioni, è possibile verificare che una proposizione è sempre vera, ad esempio attraverso l'induzione matematica per qualsiasi numero n. Ma anche in questo caso, magari sarà vero per l'insieme dei naturali N ma non per i reali R, oppure è falsa per lo 0 o per l'1 mentre è vera per tutti gli altri n > 1. La matematica e la logica sono comunque ben più stabili delle scienze empiriche, così come dei luoghi comuni o delle generalizzazioni da Bar Sport.
La mia impressione è che dovremmo avere un comportamento equilibrato, nei confronti di tali proposizioni: da un lato va riconosciuto, come nei quiz della patente, che spesso sono false; prenderle sempre per vere porta ad essere poco critici, quando uno dice “tutte le cose stanno sempre così e basta” è spesso un disonesto che vuole portarvi nell'atrio della sua chiesa o nella sede del suo partito; ma dall'altro lato, se l'enunciato è vero nella maggior parte dei casi, gli va comunque riconosciuta una qualche portata descrittiva. 
L'esempio classico degli amici filosofi: “tutti i corvi sono neri”, con le dovute mutazioni genetiche o eventuali malattie al piumaggio, sarà comunque valida per circa il 99,99% dei corvi. Anche l'enunciato “agli italiani piace il calcio”, dove è sottinteso un “tutti”, sarà pur falso, ma copre un buon 80% dei cittadini del Bel Paese, pertanto gli va da un lato riconosciuta una portata descrittiva limitata, ma non è lecito trattarlo come un banale pregiudizio. Analogamente trovare un controesempio a “(tutta) l'università italiana non funziona” è molto facile, ma chi si sentirebbe il dovere di affermare che tale enunciato sia falso, quindi un pregiudizio?  
Spesso mi innervosisce una certa critica filosofica e sociale che fa di tutto per trovare controesempi (neanche troppo difficili da reperire) e riconosce tutte le generalizzazioni come pregiudizi. Una cosa è la logica, per la quale un enunciato del tipo “tutti gli X sono Y”, se c'è un X che non è Y, è falso, un'altra cosa è la vita quotidiana ed il mondo, con tutte le sue sfumature, nel quale dei sistemi logicamente troppo rigidi di certi filosofi ce ne facciamo ben poco.
Meglio diffidare chi dice cose che sono sempre vere, per tutti, mai vere, per nessuno. Molto probabilmente, come ci insegnano i quiz, dice il falso. Ma se qualcuno parla in buona fede, intendendo quasi sempre per quasi tutti, salvo eventuali eccezioni, non vale neanche la pena di prendersela e tirar fuori millemila controesempi per sentirsi più intelligenti o intellettualmente più onesti. Non ce n'è bisogno.

p.s. Questo discorso vale per gli enunciati generali, ma non per quelli particolari, in cui bastano una o una manciata verifiche: “Monti non è mai andato in America”, “tutte le auto della mia famiglia (sono tre) vanno a benzina” - entrambi gli enunciati sono palesemente veri, ed è davvero difficile trovare un controesempio. 
Ecco trovato un controesempio a questo post. A scanso di equivoci, l'averlo trovato non mi fa sentire più intelligente dell'autore del post.

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Il risveglio del Re del Mondo

23 mag 2011 11:43 , 2 Comments

Capita talvolta, alla coscienza del mattino che si desta dal sonno, di respirare i ricordi uno ad uno, nell'anamnesi dell'alba. Ti svegli e ti accorgi di avere un corpo: le gambe sono rannicchiate, le braccia tese e la testa accovacciata sul cuscino, e tutta la materia avvolta dal suono di uno sbadiglio interminabile – ci vuole infatti del tempo per capire di essere tornato il medesimo te stesso
Pensi a ciò che la tua identità sociale dovrà fare nelle ore che seguiranno direttamente, e così riscopri l'esistenza di centomila immagini distinte dalla percezione che hai di te: una sola immagine nuda, adagiata sul letto. Ma l'istinto torna alla prima sopravvivenza nel pensiero della colazione, mentre pian piano ricordi qual'è il tuo lavoro, cosa fai nella vita, perché stai per alzarti in piedi. Ti guardi attorno. Forse c'è la tua casa. Forse i tuoi cari sono vicini a te, o forse vivi in un ambiente lontano dalla tua casa e dai tuoi cari. Poni di nuovo in essere tutte le persone che conosci e che incontrerai nelle ore successive, le persone che ami e quelle che non incontrerai; sai quali sono quelle che ti mancano di più, ma devi ancora alzarti e preparare la colazione. Spesso c'è un attimo di felicità nell'accorgersi di come la vita che ha preceduto quel momento, fino all'ora in cui sei andato a dormire la sera prima, ha avuto un senso per arrivare in qualche modo fin lì. Una vita che un attimo prima di svegliarti non esisteva nella tua testa, ma persisteva nel mondo – sulla roccia delle cose hai costruito il sentiero che conduce a quella mattina e l'hai percorso tutto d'un fiato, un attimo prima di un lungo sbadiglio. Il riavvio dei sensi è avvenuto: risvegliare chi sei nell'attimo che precede il tuo mattutino immediato all'esistenza.
Ma io ti chiedo: cosa accade al pensiero del Re del Mondo quando si desta dal sonno? Egli possiede tutto ciò che è; ed anche ciò che egli non è, è suo. Il Re del Mondo apre i suoi grandi occhi e si accorge di avere un corpo grasso e ripieno, troppo grande per avere coscienza degli arti come un qualcosa di distinto dal tutto. Il suo letto è enorme, ed i suoi confini lontani gli impediscono di vedere l'orizzonte del mattino oltre l'oceano di lenzuolo. Ma in quella geografia c'è già una distesa di colazione servita. Forse tu penserai, come del resto fanno in tanti, che il Re del Mondo non si svegli affatto. Non è abbastanza neppure tutto il tempo che egli impiega per riportare alla sua mente: il suo castello, i suoi cani, la sua servitù, il suo denaro, le sue donne, il suo giardino, le sue auto, il suo paese, le sue strade, i suoi ponti, i suoi cittadini, i suoi mattoni, il suo esercito, i suoi campi, le sue armi, le sue foreste, le sue montagne, i suoi tramonti, le sue pietre ed i suoi sassi, la sua erba ed il suo cielo, e tutto ciò che egli possiede escluso ciò che il Re del Mondo ha già pensato; egli non può pensarlo in meno del tempo che impiegherebbe per vivere la sua giornata se non fosse ciò che egli è e non avesse nulla, e pertanto nulla a cui pensare. Forse per questo nessuno crede all'esistenza del Re del Mondo: egli non si può svegliare e rivolgere su di sé il suo stesso pensiero che è già il tempo di cadere di nuovo nel sogno di ricchezza che precede la coscienza.
Ma potresti non credere alle mie parole. Ci sono molte altre persone che pensano che il Re del Mondo abbia un corpo come il nostro ed un letto come il nostro. Forse le coperte sono più sgargianti e colorate, e forse la colazione si presenta al Re già pronta al mattino. Ma sicuramente anch'egli, nel ricordarsi ciò che è, nella lenta anamnesi mattutina, sente la mancanza di ciò che non può avere, poiché egli potrà per tutta la sua vita avere tutto ciò che ha tranne ciò che non possiede, e sarà quel vuoto il suo più grande rimpianto, come per tutti noi, che non siamo il Re del Mondo. 
Io, personalmente, ho sempre pensato che al mattino il Re del Mondo sia il più triste tra gli uomini. Ogni sua ricchezza è un'opulenta catena alla sua povera progettualità, ogni suo avere accumulato un limite al suo desiderio di possibile, ogni suo potere un bisogno che non può più essere sfamato. Per questo penso che ogni mattina egli speri di svegliarsi altrove, in un altro contesto, pensando di avere costruito qualcosa di modesto, il giorno precedente, da poter contribuire nel giorno che s'annuncia, come accade in ogni tua giornata.
Forse anche tu mi sai dire come si sveglia il Re del Mondo, ma non lo hai ancora pensato. Svegliati.

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Quando diventeremo più intelligenti?

17 mag 2011 22:47 , , 0 Comments

Sono diversi anni che rifletto sull'impatto di Internet sul futuro dell'intelligenza umana. Anche se la didattica nelle sQuole resta legata a metodologie antidiluviane, ho sempre pensato che il rapido accesso alle informazioni che ci offre il buon Google, se utilizzato con criterio, potrebbe condurre le future generazioni all'accumulo di un bagaglio culturale nettamente superiore a quello di qualsiasi altra epoca storica. Ma le cose andranno davvero così?
Trattandosi di una domanda sensata, ovviamente, non me la sono posta soltanto io: il Pew Research Center’s Internet & American Life ha svolto nel 2010 un enorme sondaggio tra 895 esperti nelle grandi aziende (Google, Microsoft, IBM, Yahoo!, Intel, HP, Nokia etc.), nelle società (National Geographic, Linux Foundation etc.) e nelle maggiori università americane per rispondere ad alcune domande su come cambierà la nostra intelligenza e la nostra capacità di leggere e scrivere nel 2020. I risultati statistici ed una buona selezione delle risposte più significative, con tanto di autori, sono disponibili sul sito (link).
La prima rassicurazione che il sondaggio ci offre è che probabilmente Google non ci renderà stupidi (76%). Un po' più sconcertante è l'insicurezza su come cambierà il nostro rapporto con la scrittura e con la lettura; non siamo poi così sicuri (65%) che Internet finirà per incrementare le nostre capacità di writing e reading. Più che commentare il sondaggio e le risposte, che sono già molto schematiche e chiare per chi vuole perderci qualche minuto prendendosi una pausa dal monitorare il comportamento degli amici su facebook, vorrei riflettere un po' su questo enhancement dell'intelligenza umana nell'era delle informazioni a portata di click.
Non nutro grossi dubbi sull'effettivo aumento delle conoscenze sia nella media che nei valori più elevati, e credo che sia stupido promuovere una critica sull'imbarbarimento delle conoscenze da parte di Internet senza partire da un riconoscimento dei suoi meriti. Ma perché ci sono tanti docenti disposti a mettere la mano sul fuoco per affermare che le capacità cognitive dei ragazzi, in media, sono 'sempre peggio', quando invece dovrebbero impennare verso l'alto, anno dopo anno?
Non credo che l'impoverimento della qualità in favore della quantità di informazioni, né che l'estrema rapidità di reperimento dei dati che diminuisce l'effettivo sforzo di ricerca (e contemporaneamente di comprensione) siano un argomenti da sottovalutare. Oggi ci bastano tre righe per dire qualsiasi cosa, ed esigiamo che ce ne vengano concesse altre tre di risposta. Quattro sono troppe, non abbiamo più l'attenzione né il tempo per leggerle. Del resto, anche questo post è troppo lungo, per il lettore medio. Il multitasking, inteso anche come attività umana, ci impedisce di approfondire; meglio dieci cose portate a termine in fretta e male che una con calma, perché altrimenti domani ne avremmo da fare nove. Inoltre poter accedere ad innumerevoli informazioni digitando una sola voce limita fortemente l'impegno di comprensione per accedere ai dati e per selezionare i più adatti: per istinto (e spesso per davvero) le prime tre voci di Google sono meccanicamente le più attendibili, il resto è spazzatura.  
Direi che di problemi ce ne sono, ma che, al solito, non bastano come argomenti validi per i soliti del 'si stava meglio quando si stava peggio, lapidiamo Internet!'. In questo senso fondamentale dovrebbe essere lo sforzo della didattica nelle sQuole, come dicevo all'inizio, ad adattarsi per rendere più complete e personali le ricerche, insegnando fin da subito a specificare le fonti e mediando una buona ricerca tra i dati 'sintetici' della wikipedia  e quelli 'analitici' di un libro, di un articolo (ma anche un e-book) vero e proprio. 
Riguardo la capacità di leggere e scrivere, in particolare sulla seconda, avrei qualche dubbio in più. Il ctrl+v è una sana tentazione, anche perché spesso riformulare un pensiero già ben formulato ha una valenza esclusivamente didattica, ma è contrario all'ergonomia; si possono costringere i ragazzi per insegnar loro ad esprimersi meglio, ma nella vita quotidiana questo non accade: se devo spiegare in chat a qualcuno cosa dice la ricerca sul futuro dell'intelligenza del 2010 gli linko direttamente il sito o gli incollo il testo dell'introduzione, non sto di certo a riformulare il tutto con le mie parole per iscritto! Di certo in futuro conosceremo più cose, ma  forse faremo più fatica a riportarle in maniera non-meccanica. 
Ci sarebbe molto da dire, ma spero di aver suscitato quantomeno la riflessione: Internet ci renderà più intelligenti? Di quale intelligenza stiamo parlando? Quanto sarà diventata sintetica la scrittura tra qualche anno? Riusciremo ancora a leggere un libro di oltre mille pagine senza che l'autore non  debba per forza suddividerlo in almeno (come accade oggi) duecento capitoletti da cinque pagine? Riusciremo ancora a leggere un libro? E a scriverlo?
Non ne ho idea (anzi, qualcuna ce l'avrei). Ne riparliamo tra una decina d'anni!

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