Il programmatore russo e quello americano

13 gen 2011 18:55 1 Comments

A seguito di una lunga ed interessante discussione, ieri sera, con un amico professore di filosofia, logica ed informatica, ho riflettuto molto sulla divertente storiella che mi ha raccontato in conclusione dell'incontro.

C'è un problema matematico all'interno di un'applicazione da risolvere, per il quale si mettono al lavoro due programmatori, uno russo ed uno americano. Il secondo inizia subito a lavorare sul problema, e lo risolve in soli tre mesi. Qualche giorno dopo la release ufficiale, iniziano a saltar fuori diversi bug, per i quali il nostro programmatore produrrà diversi aggiornamenti a distanza di mesi – a pagamento – al fine di fixare i buchi un po' alla volta, fino al completamento del lavoro.
Il programmatore russo, al contrario, tace per un anno intero di studi e fatiche sul codice, finché non ne esce con il programma terminato, eccellente, esente da bug.

Al di là di vecchi manicheismi tra proletariato e borghesia, comunismo e capitalismo, mi viene da pensare che la mentalità del programmatore americano, assunta a filosofia di vita, è diventata ormai una prassi per tutti noi.
Faremmo volentieri in fretta metà del lavoro, magari pure male, per poi essere di nuovo pagati per la seconda metà, realizzando dapprincipio qualcosa di incompleto da risolvere passo dopo passo, col solito sistema del try and error. Meglio rischiare un feedback negativo immediato (e poi riprovarci) che una lunga ed attenta preparazione 'al buio' prima di affrontare un problema. Per il programmatore americano questo atteggiamento  ergonomico viene assunto a valore positivo anche in termini economici, in quanto fonte di profitti addizionali nell'immediato.
Credo che ormai nessuno abbia la volontà di fare come il programmatore russo – è la società che ci impone una certa fretta, magari a fronte di un'incompletezza manifesta da recuperare man mano, incentivata da un effettivo guadagno in termini di tempistiche. Non solo nel lavoro, ma anche (e soprattutto) nella preparazione e nello studio. Incompletezza a vantaggio della fretta, o forse della velocità di esecuzione. Risultati immediati.
Personalmente, non me la sento proprio di paragonarmi al programmatore russo. Non solo per questioni morali – è che proprio io non sono fatto così, né voglio diventarci.
Forse a causa della società in cui viviamo, forse a causa dei tempi in cui viviamo, forse a causa dei ritmi delle nostre vite, forse a causa delle scadenze, delle consegne e dei lavori che ci vengono imposti, mi chiedo seriamente: chi, oggi, nella vita, è un programmatore russo?

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Il gattino induttivista

9 gen 2011 12:14 , 4 Comments

In un giorno di questi, tornando a casa, giunto alla soglia del portone interno del piano superiore, m'è capitato di trovar infilata la chiave sulla toppa, come si è soliti lasciare nell'attesa del rientro qualcuno, ed il portachiavi tutto maciullato e lacerato, come se un qualche animale vi si fosse avventato per rabbia o per gioco.
Dopo diverse congetture, ne ho dedotto che il colpevole non poteva essere altri che un gatto tra i quattro che condividono con me e famiglia la tranquillità domestica. La conferma del colpevole l'ho avuta qualche giorno dopo, quando, in cucina, forse ardentemente desideroso d'uscire verso il cortile, il piccolo micetto ha effettuato due gran balzi verso la piccola maniglia della porta in legno, e colle sue deboli zampine, tutte rigide nello sforzo di un colpo, sfruttando il suo peso è riuscito infine ad aprire la porta – ed uscire con tutta calma.
Alla luce di ciò, pur essendo il sottoscritto molto più limitato d'ingegno dei vari Detective Conan, Jessica Fletcher (aka la Signora in Giallo), MacGyver o Sherlock Holmes (soprattutto l'ultimo con Robert Downey Jr.), mi è parso subito evidente come il portachiavi rovinato dinanzi al portone di casa altro non fosse che la prova di un tentativo di entrare in casa, fallito, in cui il povero micetto non è riuscito nell'intento di aprire, poiché il portone, a differenza di altre porte, è chiuso a chiave – la maniglia sarebbe stata comunque troppo dura e pesante per i suoi piccoli arti.
Non so esattamente se il mio gatto, fattosi filosofo, s'è mai chiesto la ragione per la quale vengono costruite delle porte con delle maniglie, talune più facili da aprire, altre apparentemente insuperabili. Semmai si fosse posto tale quesito, non ne avrebbe certamente tratto la conclusione che la costruzione di porte è utile alla conservazione della proprietà privata; il giusnaturalismo felino nasce, miagola e muore nove volte entro e non oltre i privilegi opportunistici delle mura domestiche.
Quel che più va messo in luce, tuttavia, è che non c'è bisogno di avanzate tecniche di brain imaging per sapere che il gatto non conosce il funzionamento della serratura mediante il quale la maniglia, o la chiave, interagisce con l'intero sistema-porta, aprendo il passaggio. Del resto, sfido anche i padroni umani a saper descrivere dettagliatamente il meccanismo interno della serratura della prima porta che trovano dinanzi. Probabilmente non lo sanno neanche loro.
Quel che conta, per il gattino induttivista, è capire che, dopo alcuni tentativi, alcune porte si aprono, altre no. Ora dovrà perfezionare le sue conoscenze e capire quali obbediscono alla legge se esercito una pressione sulla maniglia la porta si apre. Quella della cucina lo fa, il portone di casa no. Capire poi il meccanismo attraverso il quale la porta si apre, e perché ciò accade, sarebbe un ulteriore passo avanti per le conoscenze feline, ma temo che la biologia non accetti ancora un simile aufklärung per i piccoli quadrupedi.
Congetture a parte, ora quel furbastro del mio gatto sa aprire le porte.
Un noto matematico ha dato in pasto alla speculazione filosofica un povero tacchino induttivista, il quale, convinto com'era della fondatezza della sua inferenza scientifica per la quale il padrone mi porta da mangiare tutte le mattine, quasi non si avvide neppure dell'errore, quando, alla vigilia di Natale, fu sgozzato – e fu il tacchino, non a mangiare, ma ad esser mangiato, durante il gran pranzo del giorno seguente. Qui il pennuto, in un esempio estremo, s'è fatto la figura dell'ingenuo, e pure le certezze della scienza, anch'esse fondate su criteri induttivi.
Il gattino induttivista, al contrario, miagola e ruggisce ancora più forte delle speculazioni di quei filosofi, i quali, troppo divertiti nel divertente gioco d'abbatter torri e certezze col potere caustico della critica e della ragione, non hanno parimenti provato gusto nel mirare l'ingegno del piccolo felino che apre le porte pur senza sapere come funzionano, come la scienza conosce il mondo pur ricusandone l'ontologia – ora e sempre.
La lezione del micetto a uomini e tacchini è dimostrare che non è tanto l'induzione ad esser fallace, bensì la certezza che essa sia garante di proposizioni che siano sempre e costantemente vere, per tutte le porte ed in tutti i casi – eccezion fatta, ovviamente, per l'induzione matematica. Ciò che conta davvero, oltre il chiacchiericcio di certa filosofia, è l'esperimento scientifico, il cimento, la prova, il continuo tentativo d'aprir porte e di progredire nella conoscenza, sperimentare per corroborare o falsificare le proposizioni, per comprendere i meccanismi che si nascondono oltre le serrature del mondo.
Talvolta, nello sperimentare, certe porte inspiegabilmente non si aprono e certi portachiavi di bassa qualità vanno in frantumi. Non è poi un dramma, del resto, né per la scienza né per il mondo felino.

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L'ideologia nel pallone

6 gen 2011 11:51 , , 2 Comments

Frequenti l’asilo, o forse la scuola elementare. Più o meno, l’età è quella – quando, tra gli amici che ti circondano, giunge l’ora del giuramento primo e definitivo. Da allora, te lo ricordo, non potrai mai più cambiare. Chi cambia una squadra con la maglia a strisce (vale a dire, tra Inter, Milan e Juve, per esser classicisti) non sarà mai un vero tifoso. Queste sono le regole. Ma tu non le temi affatto; per le scelte importanti della vita ci vogliono determinazione e freddezza.
Inizia così la tua avventura nel mondo del calcio, con una scelta, neppure troppo ponderata, su chi sosterrai per il resto della tua vita. Da allora in poi, esisteranno solo gli errori arbitrali contro la tua squadra, per i quali protesterai animatamente, e quelli a favore delle altre, che poi è la dimostrazione che tutti, dagli arbitri alla Federazione, ce l’hanno con i tuoi colori; la tua squadra sarà composta di grandi campioni, anche se galleggerà a metà classifica mentre la capolista e le dirette inseguitrici, benché plurititolate in Italia ed in Europa e tutt’ora in corsa nelle maggiori competizioni nazionali ed internazionali, quelle saranno squadre di mafiosi, ladri, assassini, incapaci e perdenti. Insomma: se cerchi un modo per vedere la realtà in maniera assolutamente distorta e confusa, non fare uso di droghe. Diventa tifoso anche tu!
La bizzarria goliardica della vita mi suggerisce ciò: essere tifoso è troppo divertente. L’uomo scientifico e razionale sa bene di essere smodatamente di parte, di eccedere in ogni esultanza e di rifuggire, volontariamente, qualsiasi valutazione oggettiva in merito al campionato di calcio. Egli lo sa, e lo fa pure apposta; quale distorsione del reale più giustificata, di quella che si manifesta nel gioco?
Ci sono, tuttavia, altre tifoserie molto più inette e regredite, che dissimulano coerenza laddove essa s’intenda come “la squadra per la quale parteggio ha sempre ragione – questo è il senso della mia coerenza”. Le vediamo tutti i giorni, per nostra sventura, in politica. Arriva un imbecille che dice “noi abbiamo fatto questo”, e l’altro ribatte “ma noi l’altra volta abbiamo fatto quest’altro, e se fossimo al vostro posto avremmo fatto ancora di più”. In campagna elettorale, dalle elezioni nazionali a quelle studentesche, sento dire con gran fervore politico che i nostri (dal lato di chi parla) hanno sempre fatto più degli altri. A parte il fatto che i “nostri” non sono nessuno, poiché il mondo procede col sudore del lavoro delle singole persone e non con le idee dei partiti o dei gruppi di potere, ma possibile che i “nostri” non sbaglino mai e che gli “altri” non abbiano mai capito niente della vita? Come nello sport, ogni ideologia è una grande tifoseria organizzata: uno si sceglie il partito, i colori, lo stemma e da lì o non cambia mai idea o, se la cambia, la cambia radicalmente. Ecco un bel modo di vedere la realtà in maniera univoca, palesemente errata ma con l’illusione di una coerenza; la coerenza di chi crede d’aver sempre ragione sugli altri, che poi sono i cattivi, gli avversari, la curva dal lato opposto dello stadio.
Io rigetterei tutte le ideologie e lascerei la fede al solo mondo dello sport. Lì almeno, si sa, lo si fa per gioco. Del resto, anche in politica, c’è chi alla fine festeggia e solleva la coppa al cielo, e chi no. Per quanto possano riecheggiare le grida delle curve degli stadi, e la roboante dialettica della realpolitik, c’è una legge immutabile che regna nello sport e nella politica, ma più in generale nel mondo – chi solleva la coppa al cielo, ha vinto. Gli altri sono tutti tifosi sconfitti, che al massimo ci sperano per l’anno prossimo. È la dura legge del gol…

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Il Ramingo che non hai mai conosciuto

4 gen 2011 23:55 , 0 Comments

Il ramingo che non hai mai conosciuto – egli sa che cos'è l'amicizia. Per le foreste si posa il suo sguardo ed avvince a sé la natura in un sospiro. Poi svanisce nella selva, al prossimo lungo passo silenzioso. Egli non vive per quelle piante, per quelle foglie, per quei rami e per quei fiori, egli parla loro con dolcezza, prima di voltarsi e svanire. Il ramingo che non hai mai conosciuto non tradisce chi incontra, ma incontra spesso il tradimento. Egli lo affronta con le sue grandi mani, ma non cinge il suo collo - bensì adopera quelle braccia forti per stringere il corpo e riscaldare il cuore afflitto. Il ramingo che non hai mai conosciuto non parla spesso. Egli dice solo quello che sa, e sul resto tace. Egli non vive le sue compagnie con le parole, ma coi pensieri. Il ramingo che non hai mai conosciuto – egli è un uomo, e non conosce la perfezione né la rettitudine. La sua forza è viva e si nutre delle lacrime di chi in lui trova conforto, il suo coraggio nasce dall'egoismo di chi desidera la propria serenità sotto i cieli tempestosi. Chi ha parlato con quel viaggiatore nostalgico, chi ha condiviso il suo tempo con quel viandante infaticabile e solo si sente come se ci parlasse da sempre – eppure spesso non è neppur certo d'avergli davvero parlato. C'è chi è convinto che egli viva nel cuore di ognuno, mentre altri si chiedono perché in alcuni cuori egli non sosti mai per riposare.
Ma il mondo vuol sapere che egli c'è, ovunque si trovi, sa che egli è anche dove deve essere. Qualsiasi cosa accada, eccolo comparire tra i cespugli, tra i ramoscelli spezzati dal vento – per questo egli non è mai in alcun luogo, o così sembra alle anime serene. Egli è dove dev'essere, e la sua amicizia col mondo, egli la chiama in molti modi. Nessuna di queste parole è nel cuore degli uomini, per questo nessuno sa cosa l'amicizia sia davvero. Forse anche il ramingo che non mai mai conosciuto non conosce il senso profondo delle sue stesse, abissali parole, forse sa anch'egli che la sua amicizia col mondo non può essere nominata dal mondo delle sue amicizie, eppure, nell'impalpabile di ciò che il linguaggio non coglie, c'è qualcosa che egli conosce bene. Diffidate dunque del modo in cui interpreterete le sue parole ed i suoi gesti – egli è il custode dell'amicizia, proprio perché vede nell'anima delle cose, anche quando l'anima delle cose non lo vede; egli è già sparito per danzare insieme ad altre anime, a dar loro vita, energia, gioia e conforto. Egli è un ramingo, e forse l'hai conosciuto anche tu, prima che svanisse di nuovo nella foresta.

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