L'ideologia nel pallone

6 gen 2011 11:51 , , 2 Comments

Frequenti l’asilo, o forse la scuola elementare. Più o meno, l’età è quella – quando, tra gli amici che ti circondano, giunge l’ora del giuramento primo e definitivo. Da allora, te lo ricordo, non potrai mai più cambiare. Chi cambia una squadra con la maglia a strisce (vale a dire, tra Inter, Milan e Juve, per esser classicisti) non sarà mai un vero tifoso. Queste sono le regole. Ma tu non le temi affatto; per le scelte importanti della vita ci vogliono determinazione e freddezza.
Inizia così la tua avventura nel mondo del calcio, con una scelta, neppure troppo ponderata, su chi sosterrai per il resto della tua vita. Da allora in poi, esisteranno solo gli errori arbitrali contro la tua squadra, per i quali protesterai animatamente, e quelli a favore delle altre, che poi è la dimostrazione che tutti, dagli arbitri alla Federazione, ce l’hanno con i tuoi colori; la tua squadra sarà composta di grandi campioni, anche se galleggerà a metà classifica mentre la capolista e le dirette inseguitrici, benché plurititolate in Italia ed in Europa e tutt’ora in corsa nelle maggiori competizioni nazionali ed internazionali, quelle saranno squadre di mafiosi, ladri, assassini, incapaci e perdenti. Insomma: se cerchi un modo per vedere la realtà in maniera assolutamente distorta e confusa, non fare uso di droghe. Diventa tifoso anche tu!
La bizzarria goliardica della vita mi suggerisce ciò: essere tifoso è troppo divertente. L’uomo scientifico e razionale sa bene di essere smodatamente di parte, di eccedere in ogni esultanza e di rifuggire, volontariamente, qualsiasi valutazione oggettiva in merito al campionato di calcio. Egli lo sa, e lo fa pure apposta; quale distorsione del reale più giustificata, di quella che si manifesta nel gioco?
Ci sono, tuttavia, altre tifoserie molto più inette e regredite, che dissimulano coerenza laddove essa s’intenda come “la squadra per la quale parteggio ha sempre ragione – questo è il senso della mia coerenza”. Le vediamo tutti i giorni, per nostra sventura, in politica. Arriva un imbecille che dice “noi abbiamo fatto questo”, e l’altro ribatte “ma noi l’altra volta abbiamo fatto quest’altro, e se fossimo al vostro posto avremmo fatto ancora di più”. In campagna elettorale, dalle elezioni nazionali a quelle studentesche, sento dire con gran fervore politico che i nostri (dal lato di chi parla) hanno sempre fatto più degli altri. A parte il fatto che i “nostri” non sono nessuno, poiché il mondo procede col sudore del lavoro delle singole persone e non con le idee dei partiti o dei gruppi di potere, ma possibile che i “nostri” non sbaglino mai e che gli “altri” non abbiano mai capito niente della vita? Come nello sport, ogni ideologia è una grande tifoseria organizzata: uno si sceglie il partito, i colori, lo stemma e da lì o non cambia mai idea o, se la cambia, la cambia radicalmente. Ecco un bel modo di vedere la realtà in maniera univoca, palesemente errata ma con l’illusione di una coerenza; la coerenza di chi crede d’aver sempre ragione sugli altri, che poi sono i cattivi, gli avversari, la curva dal lato opposto dello stadio.
Io rigetterei tutte le ideologie e lascerei la fede al solo mondo dello sport. Lì almeno, si sa, lo si fa per gioco. Del resto, anche in politica, c’è chi alla fine festeggia e solleva la coppa al cielo, e chi no. Per quanto possano riecheggiare le grida delle curve degli stadi, e la roboante dialettica della realpolitik, c’è una legge immutabile che regna nello sport e nella politica, ma più in generale nel mondo – chi solleva la coppa al cielo, ha vinto. Gli altri sono tutti tifosi sconfitti, che al massimo ci sperano per l’anno prossimo. È la dura legge del gol…

Luca Montini

Il blog del buon Monti: filosofo (br)ontologico, (mal)informatico, happy (true)metallaro, tuttofare museale e teatrale, videogiocatore impenitente, apprendista stregone.

2 commenti:

  1. BONGA: Certo che apprezzo il post. Il parallelo calcio-politica ci sta sempre, soprattutto in Italia. Oliviero Beha (giornalista del Fatto Quotidiano) su Youtube o il blog Indiscreto ci insistono molto. Calcio e politica sono effettivamente "infestati" da tifosi, che seguono la logica del tifoso (se di logica si può parlare), né più né meno. Questo condiziona tantissimo la stampa, che diventa a sua volta tifosa, quindi non libera.
    Berlusconi, tra i giornali politici, ha radicalizzato le posizioni: "o con me o contro di me". Così sappiamo che Panorama, Giornale, Libero sono berlusconiani, il Fatto, Repubblica, l'Espresso sono antiberlusconiani. Su Repubblica non si leggerà mai un elogio al governo, sul Giornale una critica.
    I quotidiani sportivi sono di meno (3 in Italia), ma la situazione è ancora più drammatica. Le bombe sparate in prima pagina si sprecano, al solo scopo di vendere copie ed esaltare il tifoso. Ad esempio il Tottenham ha molti soldi, perché dovrebbe vendere Bale alla Juve? Eppure per i soldi del tifoso bianconero si scrive questo. Oppure il Napoli che va discretamente diventa da Scudetto, sperando di tornare a vendere le quasi 100 mila copie dei tempi di Maradona. O, al contrario, il giocatore scaricato (Ronaldinho), diventa da un giorno all'altro un malato di feste notturne e ritardi mattutini. Nel Milan angioletto, ora che ritorna in Brasile è un bagordo qualunque.
    Quindi il punto mio è: quanto il tifo condiziona la stampa? Spesso è più forte la pressione dal basso (tifosi) di quella che viene dall'alto (politici, dirigenti, istituzioni).
    Per il resto si può cambiare partito, moglie, religione, mai la squadra del cuore!

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  2. Sono assolutamente d'accordo. Ma la vedo più come una malattia, quella del tifo, che se nel caso sportivo ha poche controindicazioni, se si escludono paranoici psicopatici e se non si ha come valore quello di apprezzare il bel gioco come gli spettatori di altri sport, che se li godono senza nemmeno tifare, nel caso della politica mi pare che l'uso di parte di fatti e teorie sia anche un formidabile strumento per il potere nel complesso per non permettere di conoscere la verità intersoggettivamente appurabile, la quale permetterebbe di capire davvero quali sono le scelte migliori per noi e, idealmente e astrattamente in democrazia, imporre a qualunque politico di aderirvi.

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