Il gattino induttivista

9 gen 2011 12:14 , 4 Comments

In un giorno di questi, tornando a casa, giunto alla soglia del portone interno del piano superiore, m'è capitato di trovar infilata la chiave sulla toppa, come si è soliti lasciare nell'attesa del rientro qualcuno, ed il portachiavi tutto maciullato e lacerato, come se un qualche animale vi si fosse avventato per rabbia o per gioco.
Dopo diverse congetture, ne ho dedotto che il colpevole non poteva essere altri che un gatto tra i quattro che condividono con me e famiglia la tranquillità domestica. La conferma del colpevole l'ho avuta qualche giorno dopo, quando, in cucina, forse ardentemente desideroso d'uscire verso il cortile, il piccolo micetto ha effettuato due gran balzi verso la piccola maniglia della porta in legno, e colle sue deboli zampine, tutte rigide nello sforzo di un colpo, sfruttando il suo peso è riuscito infine ad aprire la porta – ed uscire con tutta calma.
Alla luce di ciò, pur essendo il sottoscritto molto più limitato d'ingegno dei vari Detective Conan, Jessica Fletcher (aka la Signora in Giallo), MacGyver o Sherlock Holmes (soprattutto l'ultimo con Robert Downey Jr.), mi è parso subito evidente come il portachiavi rovinato dinanzi al portone di casa altro non fosse che la prova di un tentativo di entrare in casa, fallito, in cui il povero micetto non è riuscito nell'intento di aprire, poiché il portone, a differenza di altre porte, è chiuso a chiave – la maniglia sarebbe stata comunque troppo dura e pesante per i suoi piccoli arti.
Non so esattamente se il mio gatto, fattosi filosofo, s'è mai chiesto la ragione per la quale vengono costruite delle porte con delle maniglie, talune più facili da aprire, altre apparentemente insuperabili. Semmai si fosse posto tale quesito, non ne avrebbe certamente tratto la conclusione che la costruzione di porte è utile alla conservazione della proprietà privata; il giusnaturalismo felino nasce, miagola e muore nove volte entro e non oltre i privilegi opportunistici delle mura domestiche.
Quel che più va messo in luce, tuttavia, è che non c'è bisogno di avanzate tecniche di brain imaging per sapere che il gatto non conosce il funzionamento della serratura mediante il quale la maniglia, o la chiave, interagisce con l'intero sistema-porta, aprendo il passaggio. Del resto, sfido anche i padroni umani a saper descrivere dettagliatamente il meccanismo interno della serratura della prima porta che trovano dinanzi. Probabilmente non lo sanno neanche loro.
Quel che conta, per il gattino induttivista, è capire che, dopo alcuni tentativi, alcune porte si aprono, altre no. Ora dovrà perfezionare le sue conoscenze e capire quali obbediscono alla legge se esercito una pressione sulla maniglia la porta si apre. Quella della cucina lo fa, il portone di casa no. Capire poi il meccanismo attraverso il quale la porta si apre, e perché ciò accade, sarebbe un ulteriore passo avanti per le conoscenze feline, ma temo che la biologia non accetti ancora un simile aufklärung per i piccoli quadrupedi.
Congetture a parte, ora quel furbastro del mio gatto sa aprire le porte.
Un noto matematico ha dato in pasto alla speculazione filosofica un povero tacchino induttivista, il quale, convinto com'era della fondatezza della sua inferenza scientifica per la quale il padrone mi porta da mangiare tutte le mattine, quasi non si avvide neppure dell'errore, quando, alla vigilia di Natale, fu sgozzato – e fu il tacchino, non a mangiare, ma ad esser mangiato, durante il gran pranzo del giorno seguente. Qui il pennuto, in un esempio estremo, s'è fatto la figura dell'ingenuo, e pure le certezze della scienza, anch'esse fondate su criteri induttivi.
Il gattino induttivista, al contrario, miagola e ruggisce ancora più forte delle speculazioni di quei filosofi, i quali, troppo divertiti nel divertente gioco d'abbatter torri e certezze col potere caustico della critica e della ragione, non hanno parimenti provato gusto nel mirare l'ingegno del piccolo felino che apre le porte pur senza sapere come funzionano, come la scienza conosce il mondo pur ricusandone l'ontologia – ora e sempre.
La lezione del micetto a uomini e tacchini è dimostrare che non è tanto l'induzione ad esser fallace, bensì la certezza che essa sia garante di proposizioni che siano sempre e costantemente vere, per tutte le porte ed in tutti i casi – eccezion fatta, ovviamente, per l'induzione matematica. Ciò che conta davvero, oltre il chiacchiericcio di certa filosofia, è l'esperimento scientifico, il cimento, la prova, il continuo tentativo d'aprir porte e di progredire nella conoscenza, sperimentare per corroborare o falsificare le proposizioni, per comprendere i meccanismi che si nascondono oltre le serrature del mondo.
Talvolta, nello sperimentare, certe porte inspiegabilmente non si aprono e certi portachiavi di bassa qualità vanno in frantumi. Non è poi un dramma, del resto, né per la scienza né per il mondo felino.

Luca Montini

Il blog del buon Monti: filosofo (br)ontologico, (mal)informatico, happy (true)metallaro, tuttofare museale e teatrale, videogiocatore impenitente, apprendista stregone.

4 commenti:

  1. Ma quale filosofo ha mai pensato che l'induzione fosse in sé sbagliata o producesse errori? Tutti han sempre detto, appunto, che sulla base dell'induzione non si hanno garanzie di verità: è credere che, per il fatto che le cose son sempre andate così, allora andranno sempre così, che è sbagliato, non proprio ritenerlo più probabile, figurarsi indagare la realtà che causa tali costanti per trovare ragioni ancora più forti. Ma la possibilità di essere dentro Matrix, o nella mente di un Dio capace di mutare il sudore in unicorni come niente, c'è sempre. Solo che crescendo la trama, gnoseologicamente, finisce per tendere a uno su infinito.

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  2. Io ed il mio gatto siamo d'accordo. Quello che ci fa rizzare i peli è solo una lettura antiscientifca dei limiti dell'induzione, volta ad annichilirne la portata.
    C'è sempre quell'uno su infinito - o più di infinito, in base alla sua cardinalità ed al numero, spesso esponenziale, di verfiche sperimentali... spesso è importante ricordarlo, e questo è compito della filosofia. Dove intendevo porre l'accento è sul non passare da "l'induzione non offre sufficienti garanzie di verità, ma abbiamo solo questa e ci tocca usarla" (come credo la intendesse anche Russell) al 'fidiamoci dell'induzione e facciamo la fine del pollo" (versione catastrofista). Al mio gatto non piace la seconda, mentre sulla prima, onestissima, che esponi tu, credo non ci sia proprio nulla da dibattere.

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  3. Ma in effetti io penso che ben pochi scienziati e persone ragionevoli in genere siano disposti a considerare l'induzione molto valida, solo in quanto tale. Gli scienziati, per esempio, mi sembrano tendere a tenere in grande considerazione un qualcosa di più, rispetto alla semplice induzione, ovvero la presenza di una teoria, di una "metafisica" che connetta coerentemente diverse catene di fatti e induzioni (permettendo naturalmente previsioni verificabili).

    Esperimento mentale: A e B sono di fronte a una roulette che gira. La pallina si porta sul 7. Nessuna inferenza sulla prossima uscita. La pallina gira di nuovo e ancora si ferma sul 7.
    A sceglie dunque di puntare ancora sul 7, mentre B, prudentemente, continua a puntare sul nero, cercando di uscirne il più possibile in pari. Supponendo che tali condizioni iniziali si ridaranno loro con le stesse informazioni all'infinito, chi dei due alla lunga si troverà con ogni probabilità più ricco?
    Dipende. Prima di tutto dalla realtà: c'è una ragione che spinge la palla verso il sette, che so, una calamita o una abilità del croupier nella determinazione di velocità e momento di azione di scala quantistica? Nel caso, che lo sappia o meno, A fa bene, mentre B avrà indubbiamente meno perdite se la roulette non è truccata, alla lunga.
    Ecco perché lo scienziato tende a non considerare certe le replicazioni in condizioni diverse per tempo, spazio o conformazione catene di fenomeni identiche finché non ha una teoria che dia ragione dei limiti in cui tali costanti possono valere, per la quale ha bisogno di incroci di induzioni differenti che corrispondano alle dinamiche della sua teoria. Per questo, per esempio, mi pare si dia parecchia importanza, molto più che all'ennesima ripetizione di un fenomeno nelle stesse condizioni, a quel che avviene in condizioni particolari, come nel caso dell'eclissi per la Relatività o dell'energia di LHC per cercare il bosone di Higgs per il modello standard.
    Per restare agli esempi classici, il tacchino di Russell è un pollo se deduce che l'uomo non si nutrirà di lui per il fatto che gli dà da mangiare, ma non lo è se, essendo in grado di capirlo, trova altri indizi della non non essere avivori gli uomini che lo nutrono.
    Cioè non è la semplice catena di fenomeni ripetuti che garantisce che essi continueranno anche domani, infatti è molto facile sbagliarsi e farsi imbrogliare in questo modo, anzi, succede proprio per questo il più delle volte.
    Diverso è il caso in cui si disponga di un mondo di significati in cui trovarne uno a tale successione, tanto da comprendere e perfino dedurre i limiti delle sue possibilità di occorrenza.

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  4. Un esempio ancora più semplice è quello del sole.
    Un conto è dire 'domani sorgerà di nuovo il sole perchè è sempre sorto' (l'induzione del tacchino-pollo), un altro è spiegare il moto di rotazione della terra rispetto al sole, che è una teoria sempre fondata su esperienze, ma che da l'impressione di essere molto di più che una semplice ripetizione consequenziale di eventi in condizioni (giorni, mesi, stagioni, anni) diversi.
    Grazie per le virgolette sul termine "metafisica", che come sai bene mi piace poco. ;)

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