Speculazioni sulla metafora idraulica della gestione delle risorse economiche















Sin dai tempi più remoti, in cui gli uomini iniziarono ad organizzarsi in società, sorsero problemi molto pragmatici sulla gestione delle risorse, non più legate al singolo individuo ma da distribuire alla collettività. Problemi che aumentarono esponenzialmente con l’aumento della complessità del sistema sociale.  Nel tempo, anche le risorse mutarono valore e natura, traducendosi nella loro forma corrente in risorse economiche. Risorse spesso mal gestite, sia nel macrocosmo statale e politico, sia in quello sociale e familiare. 
Una metafora che spesso viene utilizzata per evidenziare la cattiva gestione delle risorse economiche è la seguente, che chiameremo “metafora idraulica”. 

“Ho un sistema di tubature inefficiente. A monte, io [stato o amministratore] posso decidere quanta acqua immettere. Le tubature si occuperanno di distribuire le preziose risorse idriche in maniera capillare, ma i tubi perdono, in quanto pieni di buchi e falle dislocate in numerosi punti del sistema”. 

Come risolvere il problema – attualissimo? Sono spesso proposte diverse strategie di azione, facilmente identificabili con azioni reali compiute e tuttora in atto in molti sistemi, non solo idrici.

La prima proposta è quella di erogare più acqua. “Ma si. Freghiamocene delle falle. Se abbiamo a monte un ghiacciaio, che ce ne importa se dobbiamo disperdere un po’ più di acqua?” Il risultato, evidente, è che anche il grande ghiacciaio, fuor di metafora, prima o poi esaurisce le sue risorse. Perché quando aumenta la pressione le falle si allargano, il sistema cede, sempre più inefficiente, sotto il peso dello spreco; il ghiacciaio non fornisce più risorse sufficienti – e tu devi scioglierlo col phon, con migliaia di phon, fino ad esaurimento scorte.
Controproposta della salvezza. Se la prima opzione è risultata fallace, vuol dire che basta fare esattamente l’opposto: erogare meno acqua. Il sistema si stabilizza. Sembra funzionare. Peccato che in questo modo, chi più risente delle falle non avrà modo di sopravvivere. Invertendo la strategia abbiamo spostato il problema da monte a valle. Solitamente la politica ha in mente solo queste due soluzioni: aprire o chiudere i rubinetti. Riconosci un politico quando a parole può dire qualunque cosa, ma de facto apre e chiude rubinetti.

Arriva l’illuminato: “cerchiamo di chiudere le falle”. Se lo fa solo a parole è un politico (vedi sopra). Finalmente qualcosa di sensato, tanto che questa sembrerebbe la soluzione alla metafora idraulica. Di norma la propongono tutti. Peccato che non sia così facile – o almeno, è molto più difficile che metter mano alla valvola del rubinetto. La strada è comunque percorribile, e se perseguita seriamente è degna di lodi, ma da sola è un po’ mediocre. Non basta. La soluzione più efficace è un’altra, ancora più difficile, ancora più virtuosa, ma indubbiamente risolutiva.
Pensiamo ai tubi”, dice il saggio idraulico. Oppure l’ingegnere. Oppure il filosofo, sempre che ce ne siano ancora, oggi i sistemi, non solo idraulici, sono troppo complessi per loro.
Ci sono due stili di pensiero, tra chi pensa. Ai tubi. 
C’è il rivoluzionario, che distruggerebbe il sistema e lo ricostruirebbe da zero. Spesso si tratta del filosofo, e spessissimo è inconcludente – o forse è l’unico a non aver niente da perdere nello stare anni senz’acqua, prima che qualcuno (non lui, beninteso) rimetta mano al sistema di tubi. Poi c’è il progressista, quello che studia, comprende il sistema e cerca di cambiarlo un pezzo alla volta: il lavoro più difficile. Ci vuole una grande conoscenza del vecchio sistema per farne uno nuovo, ma anche tanta capacità creativa. Bisogna studiare tanto. S(t)u(di)dare per capire, e le capacità di pensiero per fare un salto, dalla comprensione del preesistente alla creazione di qualcosa di nuovo e più efficiente. Non basta arrivare e dire “vaffanculo spacco tutto e faccio di testa mia”. Il progressista è demiurgo, non falso dio onnipotente, plasma materia che non ha creato; è onesto: studia il sistema e modifica un pezzo alla volta, puntualmente e con chiarezza di idee. Egli non è infallibile, infatti è studioso ed empirista, e quando sbaglia non da la colpa agli altri, ma si ravvede dell'errore, si assume la responsabilità e studia nuove soluzioni. Meglio sbagliare per sistemare il sistema piuttosto che continuare a perdere all'infinito. Potrebbe volerci del tempo. Quando il problema è complesso anche la soluzione è complessa, e richiede studio, impegno e poche invettive o polemiche sterili. Questo nuovo tipo di progressista supera il politico reazionario che apre e chiude rubinetti ed l'antipolitico rivoluzionario che li bombarda. Purtroppo non esiste sistema perfetto. Il reazionario pensa che sia l'attuale, l'antipolitico pensa che sia il suo sistema mentale – ma la metafora idraulica rimarrà per sempre valida, ogni sistema è perfettibile, e non è solo una questione di tappar buchi. Ma per perfezionarlo, bisogna essere bravi ingegneri ed al contempo bravi idraulici e bravi filosofi. Insomma, veri progressisti non esistono. Ci sono solo nella teoria, ma nella pratica non è facile rinvenirne. Né nella politica, né nella società. 
Eppure abbiamo molti bravi ingegneri. Ma anche molti bravi idraulici. Chi manca all’appello? 

Luca Montini

Il blog del buon Monti: filosofo (br)ontologico, (mal)informatico, happy (true)metallaro, tuttofare museale e teatrale, videogiocatore impenitente, apprendista stregone.

1 commento:

  1. Vorrei avanzare un’opinione – non tanto un vero e proprio commento al bellissimo (e attualissimo) post. Un’opinione peraltro parziale, in quanto non tiene conto del post nella sua interezza, ma solo del ruolo che può avere un cosiddetto “filosofo” nell’ardua impresa di gestire un sistema perfettibile.

    Non vorrei sbagliarmi, però mi pare fosse Aristotele a sostenere che la filosofia non avesse scopo, non servisse a nulla, ma che tutto fosse vana chiacchiera al di fuori di questa. Ora che la filosofia non serva a nulla è forse evidente se, ad esempio, la confrontiamo con un sapere che abbia risvolti tecnici, che finisca per produrre “cose” (in questo caso ingegneria ed idraulica). Che tutto sia vana chiacchiera al di fuori della filosofia invece è forse meno evidente. Lo si può capire perché Aristotele riteneva che la filosofia è l’unico percorso che culmina nella contemplazione disinteressata della verità – e, quindi, si può presumere che, fuori da quest’isola felice, ci sia il regno della non-verità (la vana chiacchiera).
    Ma, forzando un po’ questa motivazione fino a travisarla, non si può forse:

    (1) fare della filosofia una “forma mentis”, un modo di pensare che spinge il pensiero stesso verso la verità? Quindi un/uno «s(t)u(di)dare per capire» (perché capire è cogliere qualcosa di vero, un pezzetto della verità)?

    (2) E, giunti a questo punto, questo capire, questa “forma mentis”, questo movimento del pensare non sono forse necessari per “fare”, fare bene le cose?

    Allora la filosofia sarebbe utile in quanto “forma mentis”, in quanto modalità che migliora le nostre capacità di «s(t)u(di)dare per capire e le [nostre] capacità di pensiero per fare un salto, dalla comprensione del preesistente alla creazione di qualcosa di nuovo». Rimarrebbe inutile se invece perdesse di vista questa connessione tra pensiero-comprensione-azione (al di là dell’idealismo o dell’anti-idealismo, sbircia da Paola qualcosa su «La storia come pensiero e azione» di Croce, Mò – è molto profondo in merito!). La filosofia sarebbe inutile se divenisse cieca verso il mondo del pensiero o quello dell’azione e si autoproclamasse – come hai ben sottolineato – rivoluzionaria in uno solo dei due mondi, sganciandosi dall’altro. Ma qui mi fermo perché, oltre a travisare Aristotele, potrei avere travisato te – e per una tirata d’orecchi non c’è bisogno di essere bravi ingegneri, bravi idraulici, bravi filosofi o bravi informatici (:P).

    Post fantastico – continuerò a pensarci su! Grazie per gli spunti ^_^

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