Meaninglessness VI

8 feb 2011 23:36 , 0 Comments

Flusso di cristallo

Divampa l'eco sordo ed opaco della nebbia, sulle montagne del pensiero. 
Oltre la bruma, il silenzio freddo della notte. Forse cerchi ancora, in quel tempio fluttuante, ma non trovi che assenze. Vedresti forse ogni cosa, in un cielo di cristallo, in una spiaggia di diamanti, e sai d'aver trovato un tempo quel regno che hai cercato per tutta la vita. Ma non lo vedi. Come in quel sogno in cui vagavi per le più belle città del mondo, ma degli alti e meravigliosi monumenti non restavano che ombre. Non ti teneva neppure per mano – non c'erano mani né presenze, nel buio.
Ed ora – eccolo – il muro grigio che occulta un mondo intero. Il mondo vero, sì, ecco che cosa hai cercato tanto a lungo, bramandolo, desiderandolo, invocando la sua venuta. Ma in queste lande oscure non scorgi neppure i tuoi piedi. Potrebbero strisciare serpenti, e colpirti, avvolgerti, stritolarti – loro vogliono la tua vita, loro sono il tuo peccato, il tuo desiderio di conoscenza che s'è fatto carne e miseria. 
Ti accorgi così che ascendere alle vette più alte non porta ad altro che a questo. L'inferno ha capovolto i suoi orizzonti, la saggezza è divenuta ignoranza, il piacere è mutato in dolore, l'estasi giace avvolta dall'agonia. Non c'è aria di perfezione laddove non c'è aria alcuna per respirare, ed il respiro che conosce la salita affronta la vita che si fa sempre più rarefatta – e tu, folle, speravi d'aver raggiunto la pace. Eccola, ansimante, quella pace che non dorme mai. Questa è la natura dell'abisso.
Esso ti induce a cadere; quando i sensi saranno svaniti, stremati, non potrai che spiccare un gran balzo verso l'infinito, mentre il tuo spirito vorrebbe sollevarsi e volare, ma non può – semplicemente, l'umanità è negazione del desiderio ultimo in un mondo che non può sostenere neppure la sua stessa immagine.
Solleva lo sguardo ancora un po'. Oltre i cristalli. Si, non puoi vederli, c'è un mondo adamantino ancora più in alto. Invero, non sei ancora caduto, non hai ali fasulle per farlo, ma vorresti tanto provare.
Ora. Fai un altro passo. C'è la nebbia fitta, sulle montagne, ma l'immanenza del reale non ti spaventa. Nel tuo spirito solo c'è abbastanza coraggio da scacciare i serpenti col fuoco della speranza, le tue mani insanguinate possono aggrapparsi ancora ed ancora alla dura roccia, per ascendere di nuovo. Forse c'è una vetta ancora più in alto. Cosa resta di quei sogni, se non migliaia di rovine che si stagliano contro l'idea che trafisse colui che le eresse, nel cosmo del suo pensiero? La porta che conduce alla realtà è più vera del segreto che custodisce: anche tale prelibatezza proibita, discesa nel mondo, è ormai come neve sporca, quasi avvelenata dall'immanenza. 
Solleva lo sguardo ancora un po'. Oltre i cristalli. Si, non puoi vederli, c'è un universo intero ancora più in alto.
Chiudi ora gli occhi. Te ne sarai accorto. La vista non conta – oltre il mondo di bruma la vita risplende come il cielo superiore, oltre i fumi densi delle città di mezzo, degli uomini e delle ingenuità. 
C'è una voce lontana, nella memoria, che ti solleva dal buio, ti accarezza e ti conduce oltre l'agonia del reale, mai troppo simile al mondo dei tuoi desideri, mai troppo meraviglioso rispetto al tuo folle incedere e ritrarre e supporre e meditare e pensare e congetturare invano. Perché c'è sempre un altro mondo da cercare, più in alto, oltre le montagne cristalline dei cieli, dove forse la nebbia inizia a dissiparsi, una leggera brezza accompagna una sottile pioggia che via via si apre, nel candore dell'essere e dell'eterno divenire. Lì troverai l'infinito – così l'infinito ti parla. Ma tu, sorridendo, beffardo, ammetti a te stesso d'averlo già trovato, prima che scivolasse via dalle tue mani come acqua limpida e cristallina, prima che potessi persino avvederti di non poter cingere l'ineffabile. La sua assenza è assenza nel testo, nella scrittura e nella comprensione – perché nell'infinito non c'è alcun testo, né alcun testo può concedersi all'infinito. Questo dirai ai poveri ciarlatani che venerano pagine e rilegature. Ricordi d'aver spiccato il volo, ingenuamente. Hai già scalato la montagna una volta, l'hai invero sorvolata, conosci la sua vetta più luminosa, perché ne condividi il cuore, il segreto oscuro, che da solo non oseresti neppure pronunciare, non conosci né conoscerai ogni verso della preghiera, dovrai recitarla in coro solenne. Non puoi affrontare la scalinata di pietra ed oltrepassare i muri proiettati dalle ombre salendo sulle tue stesse spalle – ora ne ricordi il perché, ora ricordi perché sei caduto e cadrai di nuovo, senza ferirti, per poi salire ancora più in alto di prima, per accarezzare in un dolce istante il senso stesso del viaggio ascensionale.
Hai già raggiunto l'eterno splendore – che eterno non era, in te e per il tuo stesso peccato d'umanità. Hai già contemplato cieli di cristallo e spiagge adamantine, ma sono luoghi inaccessibili alla solitudine di un pensiero solo, che non può descriverli, reificarli nel verbo e condividerli nel testo, se non nelle ore dell'aspra salita attraverso il buio delle rocce e della dura fatica e dell'ingenua speranza. Sì, per disciogliere la verità dal ghiaccio dell'immanenza in un istante di estatica riflessione, per sorvolare irradiando di luce le tenebre del mondo e planare l'istante successivo con le ali del fuoco sempiterno – bisogna essere insieme.

Luca Montini

Il blog del buon Monti: filosofo (br)ontologico, (mal)informatico, happy (true)metallaro, tuttofare museale e teatrale, videogiocatore impenitente, apprendista stregone.