La debolezza di Re Ottmar

5 gen 2012 19:02 , , , 5 Comments


Ottmar si accasciava sul trono come un fantoccio di pezza, lacrime di autocommiserazione gli inumidivano la barba. Alla mia corte, il suo ruolo sarebbe da tempo stato usurpato da qualcuno più forte, ma a Willendorf era stimato anche nella sua debolezza.

Questa citazione del vampiro Kain, tratta dal vecchio Blood Omen: Legacy of Kain (1996), videogioco che ho ripreso di recente per retrogaming, mi ha sempre fatto riflettere, dalla prima volta che l'ho sentita, parecchi anni fa.
Ho sempre di fronte agli occhi l'immagine (alla bassa risoluzione e coi pochi poligoni dell'epoca - al resto pensa l'immaginazione) di quell'uomo afflitto, con la schiena ricurva sul suo trono, sul volto l'espressione di un re preoccupato, terrorizzato per la sorte di sua figlia malata, distesa davanti a lui, mentre il suo pensiero non ha spazio per il suo impero, sotto l'attacco delle truppe nere della Nemesi. 
Volendo uscire dal contesto videoludico e dalle vicissitudini della trama, mi stupisce sempre il pensare ad una persona stimata anche nella sua debolezza. Penso che nella società contemporanea si sia un po' perso questo senso di apprezzamento e stima dell'umanità in quanto tale, anche nelle sue forme più fragili. 
Mi capita di parlare spesso a riguardo con psicologi e sociologi professionisti, e mi sento ripetere, e leggo di frequente che noialtri, giovani d'oggi, siamo tutti un po' vittime di un perfezionismo eccessivo. 
Non è colpa nostra, beninteso. Lo vedo tutti i giorni sul lavoro, ad esempio: dobbiamo essere infallibili. Prima di entrare anche solo in prova, il datore di lavoro richiede 'con esperienza'. Nessuno, infatti, è disposto ad insegnare il mestiere: o il giovane è un robot programmabile già programmato, oppure non ha neppure la possibilità di provare. Per chi supera il primo ostacolo, attenzione: al primo errore si è fuori, perché c'è un esercito di persone dietro di noi che vorrebbe rubarci il posto. Dobbiamo dimostrare di essere i migliori. Dimostrare sempre. Una volta c'era (o c'era una volta) il contratto a tempo indeterminato: il nostro parente che ha un posto come dipendente statale (dagli uffici alle cattedre scolastiche) ha superato un concorso, degli esami o qualcosa del genere – poi, una volta sotto contratto, ha potuto rifiatare: doveva solo lavorare, e non dimostrare ad oltranza le proprie capacità per sopravvivere. Noialtri invece dobbiamo dimostrare giorno dopo giorno, perché in quest'epoca la storicità delle buone azioni non è messa a verbale, e perché il contratto scade ogni anno. Ogni mese. Ogni giorno. Ogni chiamata. L'unico modo per sopravvivere è dire sì alla proposizione: “io sono Superman”. 
Non parliamo dei diritti. Per una donna incinta o per una persona malata, sopravvivere nel mondo del lavoro è impresa ardua. Non possiamo mostrare i fianchi: la vita è sempre una dura battaglia in cui sopravviviamo noi o il nemico. O siamo perfetti o niente: agisci o muori.
Non cambia il discorso nelle sQuole e nelle università. Si parla sempre di meritocrazia, quando chi ci insegna è il primo ad esigere la perfezione espositiva e conoscitiva, ma, come ripeto spesso, se un docente dice “non lo so” è per onestà intellettuale, se lo dice uno studente significa che non ha studiato. Spesso quel docente è salito in cattedra negli anni sessanta, proprio quando quella cattedra era agevole: bastava dimostrare qualcosa (o anche senza il 'qualcosa', bastava essere dimostranti), e da quel momento in poi nessuno l'avrebbe più potuto sollevare dall'incarico. Noi studenti invece ogni giorno a bussare contro porte di pietra: dai primi anni ai dottorandi, con la foga della battaglia perché uno su mille ce la fa, e quell'uno deve essere il necessariamente il migliore. Poi, ad un passo dal traguardo, scopri che invece era il solo più raccomandato.
Ho sparato qualche invettiva  a vanvera, potrei proseguire con centinaia di esempi ma mi fermo qui, lasciando alla fantasia del lettore ulteriori argomenti. Per oggi non voglio dimostrare più nulla. 

Re Ottmar
Screenshot da Blood Omen (1996)
Mi piacerebbe sentirmi, almeno ogni tanto, come Re Ottmar. Senza il timore indicato da Kain, di essere sempre a rischio di venir usurpato da un individuo più forte di me. Sarebbe bello avere un regno (ma anche solo una classe, o un posto di lavoro) in cui tutti ti apprezzano sia per quello che vali sia per quello che non ti riesce, per i tuoi difetti, per le tue debolezze; anche solo perché ti rendono più umano, più vero agli occhi degli altri.
Mi piace sognare un mondo in cui un uomo è apprezzato anche nelle sue debolezze; esse sono la condizione necessaria dell'umano per determinarsi in quanto umano. 
Lo spazio per i superuomini, per il tanto discusso post umano, preservatelo nei vostri racconti mitologici futuristi e nelle favole da utopisti megalomani e filosofi dell'ansia da prestazione scientista. 
Tutto il resto è debolezza. Tutto il resto è umanità.


Luca Montini

Il blog del buon Monti: filosofo (br)ontologico, (mal)informatico, happy (true)metallaro, tuttofare museale e teatrale, videogiocatore impenitente, apprendista stregone.

5 commenti:

  1. By darthino.
    Quanto è vero. O_o La vedo ogni giorno, negli occhi degli altri, la corsa al non plus ultra. Sopratutto negli occhi (e in web nelle parole) della gioventù universitaria e postuniversitaria di oggi.

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  2. Il tuo post mi ha ricordato una lettera (scritta da un lettore di una rubrica), che diceva così: "Gli annunci cercano sempre lo stesso tipo di soggetto: giovane volenteroso, dinamico, ambizioso, determinato, intraprendente, produttivo e con ottima resistenza allo stress [...], quando è evidente che il profilo del lavoratore ideale è quello di un cocainomane".
    Che dire? Sono d'accordo con ogni parola che hai scritto. P.S.: ho adorato la frecciatina ai professori "dimostranti".
    (Marco)

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  3. Soul, hai detto una cosa verissima, mi hai quasi fatto commuovere.
    Sono ___raziel___

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  4. Non posso che condividere la tua riflessione.
    Gli aspetti più specificatamente umani, la sensibilità del cuore e la fragilità dell’istinto sono elementi che non possono essere ammessi nel turbinio dinamico della nostra società contemporanea. È così che tramite il loro superamento l’uomo odierno rifugge se stesso valicando i suoi limiti, illudendosi di approdare ad un più alto e sfolgorante obiettivo della sua umanità, in tal modo trasfigura nei rilucenti miraggi post umani futuristi.
    Ed è vero: tutto il resto è debolezza, tutto il resto è fragilità; ma proprio queste sono caratteristiche del fanciullo puro, del primo moto, del sacro dire si, del vero superuomo. Colui che fa della propria fragilità la sua forza.
    E penso di non illudermi nel credere che la filosofia conservi una indissolubile portata di verità nel dispiegarsi libero del suo pensiero, Nietzsche dopotutto lo aveva già anticipato, il percorso che porta al superuomo è lungo e impervio , il problema della nostra società è che essa si illude di aver raggiunto una meta, la filosofia( una certa filosofia) ci ricorda che manca di lucidità.

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  5. Hai perfettamente ragione... in questa società non ci è permesso avere un attimo di debolezza, di stanchezza, non ci è permesso rallentare un attimo su questa giostra che gira a velocità disumane... in questa trappola mortale che è la società odierna, che soffoca e inibisce la vera natura dell'uomo, non ci è permesso essere noi stessi, mostrare il nostro lato emotivo, fragile, umano...

    PS: anche io sono una fan di Legacy of Kain! Grandiosa saga, ricca di spunti di riflessione...

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